Questa nuovo appuntamento con #pigliada10 ha un sapore speciale, per tre motivi in particolare.

  1. Andremo finalmente a “rufolare” nel canzoniere della più importante (e influente) rock band degli ultimi 20 anni. E che vi piaccia o meno, questa non è un’opinione ma un dato di fatto per cui, serenamente, pacatamente, nel rispetto di tutte le posizioni, non rompete il cazzo.
  2. Il ritorno dei Radiohead a Firenze (mercoledì 14 giugno alla Visarno Arena) è una ricorrenza da festeggiare alla grande per noi di Lungarno, visto che il numero zero cartaceo della rivista venne pubblicato in concomitanza proprio del concerto dei Radiohead al Parco delle Cascine nel settembre del 2012. Tanti auguri a noi.
  3. Ci sono 5 bonus tracks.

Per motivi di spazio non mi soffermerò troppo sui testi ma soprattutto su sensazioni e ricordi personali legati alle canzoni dei Radiohead. Proverò comunque a farmi perdonare consigliandovi un bellissimo e dettagliatissimo libro di Gianfranco Franchi sull’argomento intitolato “A Kid: testi commentati” (Arcana, 2009). Il tempo stringe. Pronti? Ok. Computer.

 

15. “My Iron Lung” (da My Iron Lung, 1994)

Quando gli alieni atterreranno su questo pianeta (e datevi una mossa su!) e mi chiederanno (perché lo chiederanno a me SICURAMENTE): “Cosa essere Radiohead?” Questa sarebbe la prima canzone che farei loro ascoltare.

 

14. “Separator” (da King of Limbs, 2011)

Ho visto i Radiohead dal vivo per la prima e unica volta a Bologna durante il tour di King of Limbs. Ero molto scettico sulla resa live dei brani di questo disco ma poi è partita “Separator” e al primo cambio armonico un’ondata di calore freddo mi ha invaso il petto.

 

13. “The Tourist” (da Ok Computer, 1997)

Il viaggio interstellare per autostoppisti di Ok Computer termina del deserto slo-core di “The Tourist” e non potevamo auspicare congedo migliore. Se mettessimo insieme tutti i brani conclusivi dei dischi dei Radiohead probabilmente verrebbe fuori il loro lavoro migliore, o quasi.

 

12. “The National Anthem” (da Kid A, 2000)

Credevo che solo Prince (e il suo allievo Trent Reznor) fosse in grado di scrivere dei pezzi musicalmente eccelsi su un cazzeggio di basso di qualche secondo, fino a quando non ho ascoltato “The National Anthem”.

 

11. “Fake Plastic Trees” (da The Bends, 1995)

Il testa a testa per la miglior ballata dei Radiohead con “How to Disappear Completely” è stato entusiasmante. Alla fine ho deciso che doveva finire così.

 

10. “All I Need” (da In Rainbows, 2007)

Fino a poco tempo fa consideravo In Rainbows il disco peggiore dei Radiohead, poi mi sono accorto del fascino immenso di “All I Need” e ci sono sprofondato dentro.

 

 

9. “There There” (da Hail To The Thief, 2003)

L’unico difetto di questa canzone è che l’hanno già scritta loro.

 

8. “Life in a Glasshouse” (da Amnesiac, 2001)

Una Marching Band sotto anestetici. Sublime.

 

7. “Burn the Witch” (da A Moon Shaped Pool, 2016)

Eleanor Rigby (1966-2016)

 

6. “Paranoid Android” (da Ok Computer, 1997)

Secondo me non è un caso che Johnny Greenwood abbia quasi completamente abbandonato le chitarre dopo i tour de force di Ok Computer. Com’è possibile anche soltanto immaginare un arrangiamento chitarristico più intelligente, efficace e sofisticato di questo? L’unica versione del progressive rock in grado di sfondare a testate il muro del 2000.

 

5. “Street Spirit (Fade Out)” (da The Bends, 1995)

“I didn’t write this song”. Questo dichiarò Thom Yorke in un’intervista appena dopo essersi accorto di avere (non) scritto le parole che verranno scolpite sulla lapide dell’umanità.

 

4. “Everything in its Right Place” (da Kid A, 2000)

Io e il mio amico Thom detestiamo la perfezione, l’omologazione, l’ordine e l’eccessiva razionalità ma qui sembra essere davvero tutto fastidiosamente al posto giusto.

 

3. “In Limbo” (da Kid A, 2000)

Definire qualcosa “didascalico” non è certo un complimento, ma nutro un certo debole per quei titoli e quelle immagini che esplicitano un aspetto importante ma un po’ nascosto all’interno di un’opera d’arte, proprio come in questo caso. Il limbo del titolo non è altro che la continua rincorsa tra gli strumenti fatta di sorpassi e girotondi, una serie di movimenti apparentemente casuali che potrebbe durare in eterno e che costringono il pezzo a rimanere perennemente sospeso sia armonicamente che ritmicamente, senza pace né riposo, come in un limbo.

 

2. “Pyramid Song” (da Amnesiac, 2001)

Ricordo ancora il momento in cui MTV trasmise in anteprima il video di questa canzone e soprattutto quella sensazione di completo rapimento sensoriale, mentre musica e immagini scorrevano sotto la superficie dell’acqua. Mi sembrava qualcosa di futuristico e ancestrale al tempo stesso, proprio come le Piramidi d’Egitto. Quando a 16 anni ti capita di assistere ad uno spettacolo del genere è difficile grattarne via il ricordo dalla corteccia. Nemmeno la vita può riuscirvi.

 

1. “Let Down” (da Ok Computer, 1997)

Perché proprio questa? Semplicemente c’è tutto quello che il sottoscritto vorrebbe ascoltare in ogni pezzo rock: intrecci di chitarra celestiali, andamento ipnotico, atmosfera sognante, crescendo epico ma senza strafare, pochi accordi ma quelli giusti. Un missile space-country-rock byrdsiano lanciato ai confini dell’universo.

 

Ci vediamo al concerto 😉

 

di Alberto Mariotti