Stefano Rampoldi, in arte Edda, è un personaggio particolare. Non solo per quello che scrive, ricco di empatia e semplicità come pochi. Non solo perché è stato il cantante di una band di culto come i Ritmo Tribale. Edda è la riprova che se non si può rifuggire il talento, perché altrimenti questo mette la freccia, ti sorpassa e ti taglia la strada. Come è successo a lui, che nel 1996 abbandonò la musica iniziando un percorso interiore duro e reale, come i lavori che ha fatto. La musica ha messo la freccia dopo 20 anni e ce lo ha riconsegnato. A Firenze, l’11 maggio 2017 potremo ascoltarlo: intanto lo incontriamo.

Il tuo ultimo lavoro si intitola “Graziosa utopia”. Una produzione curata, specialmente a livello melodico, con un taglio diverso rispetto ai precedenti dischi. Un cambio di direzione programmato o istintivo?
“Graziosa utopia” è melodicamente molto più morbido, è vero. Sul cambio di direzione invece non c’è niente di programmato. Del resto per scrivere un pezzo normalmente inizio pensando alla musica e successivamente, in maniera automatica, si apre una “finestra” mentale dove le parole entrano da sole, senza alcun filtro né preconcetto. Niente scrittura a tavolino, mai, solo spontaneità.


Ti definisci un cantante di musica leggera. Quali sono i tuoi riferimenti?
Sì, sono legato alla musica leggera nella misura in cui la mia formazione è stata, dal 1963 al 1977, l’ascolto di canzoni in radio e in tv, con “Hit Parade”, con chiara impronta pop. Non ho un artista di riferimento, bensì un mondo di riferimento, che mi è stato molto utile per giocare bene con la cosiddetta “forma canzone”.

Alcuni mesi fa feci una lunga chiacchierata con Bobo Rondelli, che ribadì spesso e con decisione che l’essere artista, o il creare, deve necessariamente passare dal dolore. Che il cantautore deve in qualche modo essere un po’ “maledetto”. Che ne pensi?
Beh, un grande classico. Partiamo dal presupposto che è problematico definirsi artista, figuriamoci definirsi maledetto. Direi che non è corretta questa definizione: ci sono molti modi e forme per esprimere qualcosa e codificare non è esatto. Nella vita ci son poche ricette, figuriamoci quella sul come essere musicisti.


Ti associo a personaggi come Lindo Ferretti, Federico Fiumani e Manuel Agnelli (di cui hai anche tantissimo in comune). Sono persone “libere” che hanno fatto delle scelte, spesso molto coraggiose. A chi ti vedi più vicino in una ipotetica compilation?
Grazie mille delle associazioni, davvero! Mi troverei istintivamente vicino a Federico Fiumani. Una persona che va per la sua strada, che si sente libero per attitudine.

Cosa pensi dell’Italia?
Sicuramente è un posto migliore tipo dell’Algeria (ride). Scherzi a parte, se dovessi rinascere vorrei essere italiano ma non in Italia. La situazione nel nostro paese è generalmente deprimente da molti punti di vista, considerando anche le nostre potenzialità.


Come è cambiato il pubblico nei concerti degli anni 90 ad oggi?
Ma guarda Riccardo, son sincero: io vado sul palco, chiudo gli occhi e canto. Non saprei proprio risponderti, perché non mi rendo conto o forse non voglio rendermi conto di quello che succede.

Viaggi. Dove vorresti vivere per un mese?
Una volta ti avrei detto Londra: dopo la Brexit ti dico invece Glasgow, in Scozia. Non è Inghilterra.

Ti offrissero di scrivere per qualcuno, magari uscito da un talent, lo faresti? E nel caso con chi vorresti lavorare?
Non conosco quel mondo, sarebbe un dramma e lo eviterei volentieri. L’unico con cui vorrei collaborare è il progetto POP X, assolutamente il numero uno in Italia adesso. Geniale.

 

EDDA
11 MAGGIO 2017
Stazione Leopolda, ore 22:30
evento QUI

 

di Riccardo Morandi