È uscire la mattina per andare a fare colazione. Arrivare al bar e trovarci dentro qualche sfigato d’avanzo del giorno prima. Che mangia la pasta sporco di crema. Ti guarda e ti dà fastidio. E la barista che si crede strafiga che ti serve dopo un’ora perché sta parlando con lo sfigato. E allora monti il tuo miglior sguardo di disprezzo. Di quelli che ti fanno brutto il muso e i modi. Anche se non t’hanno fatto niente, ma li odi. E vuoi che lo sappiano. E l’odio s’annida nei piccoli gesti. La pasta sbocconcellata per sbriciolare ovunque, il sospiro di disprezzo e fastidio, il resto che “tieni, si fa pari che ho fretta”, a dargli a intendere che gli lasci la mancia non per rispetto, ma per il suo contrario. E anche quando esci dal bar te lo senti bene addosso quello sguardo da stronzo. E decidi di continuare a indossarlo mentre cammini come uno stronzo. Con la voglia di esserlo. Uno stronzo sereno e soddisfatto che al prossimo coglione che mi passa davanti gli do uno spallata che giri l’angolo e c’è una signora che potrebbe essere tua zia che accompagna a scuola una bambina con lo zaino. E la bambina zoppica vistosamente per qualcosa che potrebbe essere una malformazione. E come sparisce in fretta quello sguardo da stronzo, ti appiattisci alla parete, la bambina ti guarda, avanza lentamente tenendosi a tua zia, ha due code nere in testa, gli occhiali buffi e ti sorride. E quando è passata stai sorridendo anche te.
Ecco, quello è il Natale. E non me ne fotte una bella sega delle vostre considerazioni da presunti cinici.
di Tommaso Ciuffoletti