Se Genova ha avuto De Andrè e la scuola dei cantautori genovesi negli anni ‘60 a Firenze decine di anni dopo abbiamo avuto Diaframma, Litfiba, Neon e Moda. Il capitano della Firenze rock del decennio del Drive In è rimasto senza dubbio Federico Fiumani. I Diaframma sono la band che per prima ha incollato, usando la Coccoina, pezzi di manichini con le spalline, ciuffi wave imbiancati, chitarre consumate e lettere di amore e sesso di amanti a tratti stanche regalando al panorama musicale nostrano un quadro nervoso e sentimentale che i più hanno giustamente definito “punk-cantautoriale”. Incontriamo Federico Fiumani, in un caldo pomeriggio settembrino, prima di una partita della Fiorentina.
Hai appena finito di registrare un album personale di cover, cosa abbastanza singolare per te se si pensa che questi brani sono provenienti da cantautori italiani degli anni 70. Quale è stata la molla per questo tipo di lavoro? Da quanto ci pensavi?
Era da qualche anno che ci pensavo. In questo lavoro ho cercato di riprendere i miei ascolti precedenti al 1977, anno in cui ho scoperto il punk, genere che ha fatto da mio personale spartiacque: la cosa è stata molto piacevole, come il lavorare con Alessandro Grazian, che di questo disco ha curato arrangiamenti ed esecuzioni. Sono i brani con cui sono cresciuto, brani di autori italiani come Conte e Guccini, che mi hanno accompagnato e mi accompagnano ancora.
Per l’uscita in vinile, e solo in quella, hai usato il crowfounding, una raccolta fondi via web. Come hai vissuto questa esperienza, che solitamente è ad uso dei “giovani” che si lanciano in questo mondo?
Beh, il crowfounding era stato già usato sia da Gianni Maroccolo per il progetto solista VDB23 e dai C.S.I. che mi hanno in un certo senso “legittimato”… Scherzi a parte, mi era stato chiesto spesso di fare questo esperimento e mi sono convinto che poteva essere una buona scommessa. Non farò nemmeno un tour anche se mi piacerebbe una data unica in un locale, magari a Firenze.
Puoi delineare un percorso sulla musica indipendente italiana? Tanti ne hai visti passare, toccare, scomparire. Su chi avresti scommesso e su chi vorresti scommettere?
Ricordo con molto piacere i Karibean, una band di Osimo, mio paese natale: suonarono a Firenze qualche anno fa un ottimo rock psichedelico che francamente mi impressionò. Oggi spesso mi portano dei demo, che ascolto volentieri. Due nomi al volo: I Quanti e Whiskey & Sodoma. Mi è piaciuto moltissimo Nicolò Carnesi, che per me è già ad un ottimo livello nella scena indipendente e pronto per un ulteriore passo avanti.
Il tuo concerto apre da anni la stagione solare del rock a Firenze. Gennaio, Flog. Una sorta di “ritrovo degli alpini” degli ascoltatori. Il manifesto dei tuoi concerti è da sempre quello derivato da Boxe, ma che senso ha?
Hai ragione: sono circa 27 anni che suoniamo a gennaio alla Flog… Il manifesto è lo stesso dal 1989: è iconico, piace ai locali e alla gente, e forse anche per pigrizia abbiamo sempre lasciato questo pugno sul mio naso come simbolo. E’ come un marchio di fabbrica, anche se quest’anno abbiamo provato a cambiare, proponendo un nuovo manifesto con una foto della band.
Coi Diaframma ha iniziato come chitarrista. Quale è stato il passaggio attraverso il quale ti sei trovato cantante? Hai mai avuto paura di non essere all’altezza di questo ruolo?
Negli anni ‘80 le band new-wave, quali i Diaframma, avevano voci profonde e calde: io non volevo cantare, stavo bene in disparte a suonare la mia chitarra. Successivamente ci siamo sciolti, dopo Boxe (1988), ed avevo deciso di trovarmi un lavoro normale e di chiudere con la musica, ma dopo tre mesi mi era venuta voglia di ricominciare. Provai con una strana formazione a tre incidendo “Gennaio”, e le cose andarono bene: in sostanza il mio arrivo alla voce è stata una cosa naturale, senza traumi. Un tentativo andato a buon fine.
“Il ritorno dei desideri”, tuo lavoro datato 1994, ha come ultimo brano (una coda peraltro un po’ strana e nervosa) “Come sarò fra venti anni”. Come ti vedi dopo 20 anni?
Sono felice. Le cose vanno bene, incredibilmente bene: domani siamo a Pontassieve, dopodomani a Desio. Oserei dire che sono rimasto lo stesso, e che sono soddisfatto di come sono adesso.
Spesso proponi dei tuoi live personali in “Confidenziale”, senza band, andando sul palco stranamente accompagnato solamente dalla tua Fender. Spiegaci perché non usi la chitarra acustica, come fanno praticamente tutti.
La chitarra acustica è grossa, goffa: se sai suonare bene è perfetta ma se devi “zappare” è meglio l’elettrica. In ogni caso non ho avuto lamentele dagli ascoltatori: del resto il live voce/chitarra elettrica lo propone anche J Mascis. Diciamo che siamo l’uno ispiratore dell’altro (ride).
«Fiumani non si è mai svenduto, incarnando un aspetto molto romantico in chi segue le cose del rock. Questo senza dubbio paga, anche se il rigore estremo può portare a degli errori, e farsi consigliare è comunque una buona strada». Ti trovi concorde con questo giudizio di Nicola Vannini, primissima voce dei Diaframma? Ti saresti dato qualche consiglio in più in passato?
Nicola parla dal punto di vista di un produttore: io faccio musica per divertirmi e le proposte per allargare il pubblico, partecipare a Sanremo con altro piglio artistico non le ho accettate, nonostante mi venissero ad un certo punto quasi imposte. Ho sempre scelto la via per stare bene ed avere l’essenziale per vivere. Mi fa un po’ sorridere il fatto che Nicola a distanza di anni non mi abbia dato l’amicizia su Facebook: forse ai tempi ci siamo lasciati un po’ male (?).
Firenze: dove porteresti un caro amico per regalare un pezzetto inedito di questa città che ti sembra magico?
In dei negozi di dischi: li amo molto come luoghi di incontro, di scambio di percorsi artistici, di vita e musicali. La Firenze rock degli anni ‘80 si è formata nei negozi, anche se adesso le cose sono cambiate. Forse lo porterei anche in Piazza Dalmazia perché l’ho nominata in una mia canzone: il resto di Firenze rimane poi una splendida cartolina da cui è impossibile prescindere.
Bobo Rondelli, con il quale abbiamo fatto una chiacchierata tempo fa, sostiene che un vero artista deve essere malato, e che i lavoratori, i portatori di sani principi, non sono dei veri e propri geni. Che ne pensi?
Forse Bobo aveva in mente Piero Ciampi! In ogni caso non credo che ci sia una regola precisa: anche se molti cantanti nel nostro mondo non sono esattamente “normali”, si incontrano dei geni come Paolo Conte, un avvocato rispettabile, oppure Francesco De Gregori, che provano il contrario. In sostanza non è necessario essere malato per scrivere, assolutamente.
Che valutazione hai del mondo del mainstream? Vorresti o avresti voluto farne parte?
A me sarebbe piaciuto diventare ricco e famoso, e tutti bene o mal vorrebbero esserlo: del resto questo è un mestiere che puoi fare solo se hai successo, piccolo o grande che sia. Io ho trovato una via soddisfacente, e non ho niente contro chi si arricchisce con le proprie produzioni. Può essere un bene o un male: guardate che fine ha fatto Vasco Rossi, rovinato proprio da questo mondo. Forse la mia strada è quella di suonare in posti più piccoli, ma va bene, mi accontento.
Hai scritto un libro di poesie dal titolo “Odio U2 e Springsteen”. Perché? E’ spiazzante ed estremo, ma li odi o la tua è una provocazione?
No, io li odio nella misura in cui rappresentano il rock da stadio, retorico, magari con contorni politici come hanno gli U2.
Ma Springsteen è genuino, è una sorta di “working class hero” …
Sono americanate queste, son cose che non mi piacciono. Retorica pura. A me piace più il punk, la musica nelle cantine.
Bene. Ti salutiamo chiedendoti ovviamente il primo e l’ultimo disco acquistato.
Con i miei soldi il primo è stato “Sheena Is a Punk Rocker” dei Ramones nel 1977. L’ultimo due giorni fa, “Gira che ti rigira amore bello” di Claudio Baglioni. Sarà fra poco in concerto a Firenze, sono curioso.
di Riccardo Morandi
credit photo | © di OIB4th-Analogue-Photography