di matilde sereni

Ciao Zero, per metterti a tuo agio, cominciamo con una domanda facile. Secondo te cosa c’entra un’intervista ad un fumettista romano in un mensile dedicato a Firenze?

Me lo domando pure io, ma poi mi sono ricordato che in copertina del numero zero c’erano addirittura i Radiohead e manco loro sono fiorentini.Ok, lo so che ci sono due valide obiezioni:

• uno loro sono venuti comunque a suonare a Firenze;

• e due loro sono i Radiohead e tu sei un poraccio.

Però alla fine pure io sono venuto a fare i disegnetti a Firenze al Glue il mese scorso, quindi un po’ c’entro pure io.

Esatto! E più che altro mi hai lasciato un tuo contatto decretando la tua fine. Va bene, andiamo nel classico: dalla prima striscia sul tuo blog www.zerocalcare.it alla presentazione di “Un polpo alla Gola”, di strada ne hai fatta parecchia pur restando ben ancorato con piedi e cuore al tuo quartiere romano. Quando hai iniziato a capire che le cose “stavano andando bene”? 

Io in realtà non l’ho ancora capito, continuo a sentirmi praticamente uguale a quando sono uscito da scuola dieci anni fa, senza aver conseguito praticamente nulla. Che in parte è così, ma in parte no perche negli ultimi mesi per esempio l’affitto l’avrei potuto pagare anche solo col fumetto, che è una cosa che in Italia non è scontata per niente. Però tutto questo carrozzone del fumetto mi pare così fragile e precario che preferisco continuare a fare traduzioni e ripetizioni, nel caso sparisse tutto da un momento all’altro.

Dopo l’esperienza di Lucca e i crampi alla mano derivanti, quali sono i tuoi obiettivi futuri?

Sopravvivere a questo tour di presentazioni e disegnetti in giro per l’Italia fino a metà dicembre, che mi sta logorando il tunnel carpale, come prima cosa.

Poi vorrei concentrarmi sul blog, dedicargli un po’ di cura e al contempo lavorare con calma ad un nuovo libro, che mi piacerebbe uscisse l’anno prossimo, senza ritrovarmi ad avvelenarmi un’estate con dei

turni di lavoro di 15 ore al giorno sette giorni su sette…

 

Sono i tempi dell’editoria, caromio. Ne sappiamo qualcosa 

“La Profezia dell’Armadillo” è un libro tutto sommato autobiografico, stessa cosa per le strisce che pubblichi online ad allietarci i lunedì. Forse non possiamo dire lo stesso per “Un polpo alla gola”, sbaglio? A cosa è dovuta questa svolta?

In realtà non è verissimo, nel senso che con il Polpo alla gola volevo raccontare una storia diversa: mi sarebbe piaciuto fare un giallo, poi invece è uscita fuori una cosa diversa ma che ha comunque una venatura mistery. Quell’elemento mistery che racconto, che scopro nella prima parte del libro dedicata alla mia infanzia, in realtà è veramente autobiografico, così come lo sono le situazioni, i personaggi, le emozioni raccontate in tutto il resto del libro. L’elemento di finzione sta nello svolgimento dell’intreccio e soprattutto nella sua risoluzione: quelli effettivamente me li sono inventati perché senno stavo in pretura e non a disegnare fumetti. D’altronde era l’unico modo che avevo per raccontare un giallo senza perdere un fondo d’autobiografia che comunque per me è indispensabile per raccontare le mie storie.

 

Ed è quello che ti caratterizza maggiormente, a mio avviso, il primo motivo di questo più che meritato successo. Ok, torniamo in terra locale. Recentemente sei passato dalle nostre parti per interviste radio e disegnetti. Cosa ti è rimasto di questa nostra città a parte una pizza nello stomaco e scrosci d’acqua a non finire?

Oltre al freddo e alla pioggia, la pazienza di chi è rimasto tutta la sera fino a notte per avere la dedica sul libro nonostante io sia lentissimo nel fare i disegnetti. E anche lo stupore nel vedere che c’era così tanta gente, malgrado le condizioni atmosferiche ostili e la concorrenza della rockstar Renzi che faceva il comizio a 100 metri di distanza.

O forse quelli al Mandela Forum, avevano semplicemente sbagliato ingresso. Bene, siamo alle conclusioni. Me lo dici “vorrei una coca cola con la cannuccia corta corta” in romanesco?

Me dai na coca caa cannuccia corta? “Corta” però non lo ripeto perché senno mi sembra di parlare come Ned Flanders dei Simpsons.