In altre parti d’Italia la chiamano “la fiorentina”. A Firenze non è possibile visto che indicherebbe la squadra di calcio viola. Questo taglio nel capoluogo si chiama solo “bistecca”: ma non è un problema, visto che in talune lande sudiste si appella come “SUGO” un normale condimento a base di pomodoro.
Chiariamo subito la questione fondamentale: non esiste grado di cottura. E non esiste grado di richiesta a colui che la cucina, chè non siamo internazionalisti a Firenze: il “bleu” innanzitutto si pronuncia “blè”, e si riferisce a un tono di colore tendenzialmente abbinato ad autovetture o vestiti. La cottura è una. Stop.
Veniamo allo spessore del prodotto. Tralasciando l’apocrifa tagliata, data in pasto dall’oste con un sorriso sarcastico agli “wannabe della carne” allo stesso modo con cui un pescatore di Marsala potrebbe dare una carta di fritto di pesce con “soli tondini” agli ospiti, rifuggiamo le disamine, spesso nordiche, di tagliare bistecche alte quanto un barattolo di marmellata. E rifuggiamo anche, sonoramente, sia le questioni sul tipo di carne (oramai la scelta pare più complessa che scegliere un gestore telefonico) che sulla squallida tradizione ristoratoria di appendere tranci di manzo in vetrina. Cattivo gusto per tutti.
La bistecca è la bistecca a Firenze: uno dei piatti più mangiati, e ci stupisce peraltro vista la banalità del prodotto. Che dire: si vede che alle volte al non-fiorentino piace sentirsi fiorentino in questo semplice modo. Come se peraltro a Firenze mangiassimo costantemente costate.
Ultimo consiglio: rifuggere sempre da colui che professa “la migliore bistecca è quella che mangio a casa mia”. Un mitomane. Quindi un fiorentino.