di Carlo Benedetti
Wen ripensava spesso a Firenze osservando il cielo grigio di Pechino dalla finestra del suo studio. Cosa gli mancava? Non la gente che lo disprezzava per come portava degli stivali in pelle rossa con i pantaloncini corti. Certamente non i monumenti: il centro, un unico, infinito, cimitero di eroi morti, battaglie inutili, e santi. Non il cibo: odiava la pizza, gli spaghetti, i funghi fritti e il lampredotto con tutto se stesso, preferendo al miglior ristorante italiano stellato, la peggiore bettola da camionisti di Shanghai. Spesso Firenze gli sembrava un’amante frigida, pronta a dire no.
Ma, quando chiudeva gli occhi, rivedeva il tramonto allagare le strade strette, scolpendo i palazzi antichi di nostalgia e superbo distacco: un arancio calendula che colava lungo le silhouette dei pochi passanti, mischiandosi all’odore di riposo, di sacrosanta fine giornata che qui a Pechino non arriva mai.
Wen consumava risme di carta da acquerello cercando di catturare via dei Martiri, con l’immancabile cupola, piegata sotto il peso di un tramonto estivo, proprio quello prima di partire, quando avrebbe dovuto decidere se rimanere con lei, una stanza e l’affitto, quarto piano con tre studenti fuori sede, o tornare a casa, da solo. Quando avrebbe quantomeno dovuto salutarla, fare l’amore un’ultima volta, piangere insieme. Firenze ha questo che Wen disprezza più di tutto il resto: più diventa lontana, più è bella e irrimediabilmente perduta.
Isabella Hammad, Il parigino, Einaudi, 2021 – 24,00€