di Lorenzo Robin Frosini
Se l’“effetto flotilla” e lo slogan “blocchiamo tutto” rilanciato dal CALP di Genova e dall’Unione Sindacale di Base hanno caratterizzato una fine dell’estate calda e conflittuale – come non se ne vedevano da tempo -, in Italia l’opposizione contro il genocidio del popolo palestinese continua a mobilitare le piazze e unire diversi movimenti sociali; sabato 29 novembre, infatti, si è svolta una grande manifestazione a Roma in occasione della giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese.
Le proteste continuano, così come proseguono i crimini e le violazioni del diritto internazionale da parte delle forze d’occupazione israeliane; nella notte fra sabato 29 e domenica 30 novembre, per esempio, un’attivista canadese e tre attivisti italiani (impegnati nell’ambito della missione internazionale Faz3a per proteggere le comunità palestinesi in Cisgiordania) sono stati aggrediti e derubati da parte di un gruppo di coloni nel villaggio di Ein al-Duyuk.
La finta tregua
È ormai evidente, per chi non lo avesse sospettato fin da subito, che la “pace di Trump” recentemente approvata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu abbia comportato solo una riduzione delle copertura mediatica sul genocidio eseguito da Israele — di “cessate il fuoco” non c’è traccia né a Gaza, né in Cisgiordania. Dall’inizio della supposta tregua sono state uccise più di trecento persone e quasi mille ferite, la repressione si è intensificata nei territori palestinesi occupati, e i bombardamenti lanciati contro Libano e Siria sono praticamente quotidiani.
Per scongiurare i rischi della manipolazione dell’opinione pubblica messa in atto dai governi complici dei crimini contro l’umanità portati avanti dall’apparato sionista guidato da Netanyahu, un antidoto è certamente rappresentato dalla testimonianza diretta. E in questo senso è stata significativa la visita di quattro giorni in Palestina compiuta ad inizio novembre da parte di una delegazione della Rete Enti locali per i diritti del popolo palestinese, accompagnata da Arci Firenze e Anpi Firenze.
Ho scambiato qualche parola con Manfredi Lo Sauro e Pietro Cardelli di Arci Firenze per un confronto su quanto emerso dalla recente missione: «La tragicità della situazione in Cisgiordania ha ormai superato ogni limite» — riportano in coro Manfredi e Pietro — «negli ultimi due anni l’aumento esponenziale di soprusi, violenze e insediamenti da parte di Israele sta comportando un’annessione di fatto».
L’occupazione israeliana in Cisgiordania
Breve precisazione: la Cisgiordania, la parte della Palestina che si trova a ovest del fiume Giordano, nel 1967 è stata occupata dallo Stato di Israele a seguito della Guerra dei Sei giorni. Dagli Accordi di Oslo, i controversi negoziati di pace del 1993 e del 1995, la Cisgiordania è divisa in tre zone: l’area C, pari a circa il 60% del territorio, è sotto il controllo amministrativo e militare israeliano; l’area A è sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese (l’istituzione politica costituita nel 1994 per gestire, teoricamente ad interim, quei territori); l’area B è sotto il controllo amministrativo palestinese e militare israeliano. Secondo quanto stabilito negli accordi di trent’anni fa, questa conformazione avrebbe dovuto essere temporanea e Israele avrebbe dovuto riconoscere ai palestinesi e alle palestinesi il diritto di governare su alcuni territori occupati. La storia è andata diversamente.
Sia per Pietro che per Manfredi questo non è stato il primo viaggio in Palestina — Arci Firenze porta avanti da anni progetti di cooperazione internazionale. L’ultima missione risale al 2023, e nel giro di due anni è cambiato veramente molto: «le colonie sono aumentate a dismisura, e ora l’esercito israeliano non staziona solo nei “checkpoint” che limitano l’accesso e l’uscita dalle varie aree della Cisgiordania, ma le forze di occupazione si muovono indisturbate in ogni angolo dei centri urbani palestinesi; per non parlare dei coloni che si sentono ormai liberi di fare praticamente qualsiasi cosa sia nei villaggi e nelle campagne, che nelle città palestinesi». A proposito della visita a Gerusalemme, Pietro continua osservando: «si contano ormai 17 colonie illegali israeliane all’interno della sola municipalità di Gerusalemme; a questo punto, è troppo palese la condizione di “vita da ostaggi” degli oltre 360.000 palestinesi che abitano a Gerusalemme Est, circondati da un lato dal muro dell’Apartheid e dall’altro dalle colonie in rapido aumento».
Contro il diritto internazionale
Israele continua a ignorare le risoluzioni internazionali: ad oggi le politiche colonialiste d’insediamento hanno registrato la confisca di circa 2.000 km quadrati di terra palestinese per la costruzione di insediamenti e strade di collegamento riservate ai coloni; ad oggi, in Cisgiordania vivono oltre 700.000 coloni israeliani — praticamente un terzo della popolazione palestinese (meno di tre milioni circa). La rete di colonie, strade e infrastrutture costruite esclusivamente per i coloni ha frammentato il territorio palestinese, rendendo sempre più difficile lo sviluppo economico e — soprattutto — la coesione sociale.
La delegazione della Rete Enti locali per i diritti del popolo palestinese è stata ricevuta da varie istituzioni palestinesi: la vice-sindaca di Hebron (che fa le veci del sindaco di Hebron arrestato dalle forze dell’IDF), il sindaco di Ramallah, il sindaco di Betlemme, il governatore di Gerusalemme. L’obiettivo di questi incontri? Aprire nuovi canali di comunicazione da parte delle amministrazioni locali italiane coinvolte e raccogliere i bisogni, o meglio, le necessità dei palestinesi e delle palestinesi in Cisgiordania per iniziare a strutturare progetti di cooperazione a medio-lungo termine. A tal proposito, Manfredi ha riportato un fatto significativo: «le figure istituzionali palestinesi che ci hanno accolto ci hanno rivelato che la nostra delegazione è stata la prima a far loro visita da due anni ad oggi». Un fatto tanto sorprendente, quanto amaro.
Le sfaccettature della resistenza
Le summenzionate figure istituzionali palestinesi sono le vincitrici delle ultime elezioni locali che si sono svolte tra il 2021 e il 2022 in Cisgiordania. Il tema della rappresentanza politica del popolo palestinese è certamente molto delicato, complesso, e spesso viene dimenticato quando si parla di autodeterminazione, spostando l’ago della bilancia verso la ragion d’essere della resistenza armata — più che legittima quando si tratta di dover rispondere a forze occupanti, soprattutto se in una cornice di inqualificabile complicità internazionale.
L’invito di Manfredi e Pietro è quello di non cadere vittime di facili semplificazioni classificando tutta la resistenza palestinese come monolitica, ma cercando di capire e conoscere la complessità della società palestinese e delle sue componenti politiche. Da qui anche la necessità di garantire ai palestinesi – tutti i palestinesi che vivono nel Territorio Occupato Palestinese, quindi Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est – il diritto ad autodeterminare la propria rappresentanza politica attraverso libere elezioni. «L’opposizione alle forze occupanti israeliane non è un blocco compatto: non tutte le persone sono disposte, o sono in grado, di imbracciare un’arma e combattere frontalmente l’oppressore sionista» osserva Manfredi, che continua: «il popolo palestinese deve essere messo nelle condizioni di autorappresentarsi, scegliendo in autonomia le figure politiche che dovranno portare avanti i processi necessari per la creazione di uno stato palestinese — al di fuori della inapplicabile cornice “due popoli, due stati”. Affinché tutto ciò possa avvenire deve terminare il genocidio a Gaza, deve terminare l’occupazione della Cisgiordania, e devono essere liberati tutti i prigionieri politici palestinesi». A questo riguardo, è stato particolarmente significativo l’incontro con Fadwa Al-Barghouti, la moglie del prigioniero politico Marwan Barhouti, detenuto dal 2002 nelle carceri israeliane.
Dal massacro di Hebron all’apartheid
Altrettanto rilevante è il racconto che Pietro ha condiviso a proposito del tragitto da Hebron a Betlemme, che ha definito essere «la restituzione plastica dell’Occupazione e dell’Apartheid», considerato che «in un’ora di tragitto si possono trovare numerosi checkpoint, o gates, che aprono e chiudono ogni paese e città a totale discrezione dell’esercito israeliano; si possono trovare fermate dell’autobus esclusivamente riservate ai coloni israeliani, che godono della protezione armata dell’esercito; si trovano, nelle corsie “riservate ai palestinesi”, le immense code di automobili con le targhe bianche (quelle intestate a palestinesi, ndr) che aspettano di essere controllate dalle forze occupanti».
Testimonianze in circolo
Per approfondire il racconto di questa recente missione in Palestina, è stato promosso un calendario (in aggiornamento) che prevede vari incontri nei Circoli Arci tra Firenze e provincia per riportare e discutere i fatti e le sensazioni vissute tra Ramallah, Hebron, Betlemme e Gerusalemme.
Di seguito la lista dei prossimi appuntamenti:
- 4 dicembre, ore 18:00, Circolo Arci San Casciano (Via dei Fossi 36, San Casciano in Val di Pesa)
- 5 dicembre, ore 19:00, Circolo Arci Il Progresso (Via Vittorio Emanuele II 135, Firenze)
- 7 dicembre, ore 17:00 > Circolo Arci Il Tiglio (Piazza della Vittoria 23, Vicchio)
- 9 dicembre, ore 21:00 > Casa del Popolo Impruneta (Via della Croce 39, Impruneta)
- 10 dicembre, ore 21:15 > Circolo Arci Porta al Prato (Via delle Porte Nuove 33, Firenze)
- 11 dicembre, ore 21:00 > Casa del Popolo di San Niccolò (Via di San Niccolò 33r, Firenze)
- 12 dicembre, ore 18:30 > Casa del Popolo di Settignano (Via di S. Romano 1, Firenze)
- 13 dicembre, ore 21:00 > S.M.S. Rifredi (Via Vittorio Emanuele II 303, Firenze)
- 14 dicembre, ore 17:00 > Circolo Arci Spazio Tre & Macondo (Via Salvador Allende 31, Borgo San Lorenzo)
- 14 dicembre, ore 17:30 > Circolo Arci Vie Nuove (Viale Donato Giannotti 13, Firenze)
crediti fotografici: Pietro Cardelli e Monica Pelliccia



