Una riflessione sul suono a partire da Deep Listening, Meditazioni sonore e Quantum Listening, editi in Italia dalla casa editrice Timeo.

C’è qualcosa nel suono che ci riguarda più di quanto vogliamo ammettere. È come la voce dell’universo quando smettiamo di parlare noi. Basta tacere un attimo – nel senso di stare zitti veramente, cioè senza nemmeno controllare il telefono – per accorgersi che il silenzio, in realtà, non esiste. E se esiste, è una specie di condizione fittizia come la neutralità nei talk show politici: si proclama solo per mascherare il rumore di fondo. Ma non voglio parlarvi di musica come arte, né fare la solita ode new age alle vibrazioni che guariscono.

Mi interessa qualcosa di più ambiguo, meno risolto, che si muove fra la ricerca sonora e la spiritualità fai-da-te dei nostri tempi. Una specie di zona franca tra performance, filosofia e disciplina percettiva. Un triangolo non proprio amoroso, ma piuttosto esplorativo, fatto di Deep Listening, Meditazioni Sonore e Quantum Listening. Tre etichette che sembrano uscite da un laboratorio di sintesi postmoderna – uno di quelli dove si fanno playlist per meditare con l’ayahuasca – ma che in realtà raccontano una cosa antica: il suono come strumento di conoscenza. Del mondo, certo. Ma soprattutto di sé stessi.

La prima cosa da dire è che Deep Listening non è un esercizio passivo, tipo lasciarsi andare sul divano con gli AirPods e Spotify che ci consiglia un mix “chill per l’anima”. È una pratica inventata da Pauline Oliveros, compositrice, improvvisatrice, femminista queer e visionaria dell’ascolto. Una persona che ha deciso che il suono era troppo interessante per essere confinato ai concerti. Lei ha fatto del “sentire tutto” un metodo. Ascoltare con il corpo, con la mente, con lo stomaco se serve. Anche con gli occhi.

Esercizi di ascolto profondo includono restare immobili per minuti – o ore – in una stanza, cogliere il ronzio delle luci al neon, il respiro di chi è seduto accanto, la propria digestione. L’idea è che il mondo è pieno di informazioni che non ascoltiamo perché non ci sembrano importanti. Ma cosa succede se iniziamo a prestare attenzione a ogni sfumatura? Forse il paesaggio sonoro – quel concetto mezzo poetico mezzo urbano – diventa più nostro, ci restituisce una presenza più piena. Forse ci accorgiamo che, senza far nulla, stiamo già vivendo un’esperienza estetica.

Poi c’è la moda delle Meditazioni Sonore, che non è tutta da buttare. Anche se spesso ha l’odore di incenso sintetico e playlist troppo curate per sembrare spontanee, il principio di base è onesto: usare il suono per staccare la testa dai pensieri di default. Campane tibetane, gong, riverberi lunghissimi e pad elettronici che sembrano usciti da Blade Runner – tutto concorre a creare una bolla. In quella bolla si entra e si galleggia. Non sempre si torna cambiati, ma capita.

La cosa interessante è che le meditazioni sonore, pur essendo alla moda nei centri yoga gentrificati, rivelano un desiderio collettivo di uscire dal flusso del linguaggio. Di trovare un punto di contatto tra emozione e percezione prima che arrivino le parole a dire “sto bene” o “sto male”. È un approccio primordiale e raffinato insieme. Un ascolto che si fa esperire più che analizzare. In cui il corpo è parte dell’orecchio. Ed è qui che la spiritualità si avvicina alla ricerca artistica, a patto che non si perda nel marketing.

Il salto quantico – è il caso di dirlo – lo fa IONE, artista e scrittrice, moglie e collaboratrice di Oliveros, con il concetto di Quantum Listening. Qui si va oltre l’ascolto del presente sonoro. L’ascolto diventa intenzionale, creativo, performativo. Ascoltare non solo ciò che c’è, ma ciò che potrebbe esserci. Una specie di ascolto fantasma, come se potessimo sentire anche ciò che ancora non si è manifestato.

La suggestione è chiaramente mutuata dal mondo della fisica quantistica – quello popolato di gatti vivi e morti insieme, particelle che si comportano diversamente se osservate – ma qui il principio è applicato alla percezione. Se il nostro ascolto cambia, forse cambia anche la realtà che ascoltiamo. Quantum Listening ci invita a co-creare il mondo col nostro modo di percepirlo. Non più solo “sentire per capire”, ma “sentire per trasformare”.

Quello che accomuna queste tre pratiche – anche se partono da angoli molto diversi – è una visione esplorativa del suono. In un’epoca in cui tutto è visto, fotografato, scrollato, il suono rimane una dimensione segreta. È invisibile, transitoria, ma profondamente materiale. Quando ascoltiamo davvero – cioè quando ci arrendiamo alla complessità del suono – entriamo in una zona dove la mente e il mondo si fondono.

È una vertigine. Una di quelle che non servono per distrarsi, ma per tornare più centrati. E in un certo senso, il suono diventa una forma di conoscenza. Una specie di epistemologia sensoriale che mette in discussione i limiti tra soggetto e oggetto, tra dentro e fuori. Forse tutto questo ascoltare non serve a diventare più rilassati, né più spirituali. Forse serve a diventare più reali. E in un’epoca dove la realtà è sempre filtrata, confezionata, editata – l’idea di ascoltare il mondo così com’è, nella sua confusione, nei suoi strati, nei suoi ronzii urbani e silenzi imperfetti – è già un atto radicale.

 

Crediti immagine: Giovane suona un flauto per un satiro, Giovanni Benedetto Castiglione, 1645-50, MET, Public Domain