di Tommaso Bonaiuti
Intervista al combo giapponese Super Jet Kinoko, in concerto al Lumen il 24 luglio, in occasione della presentazione del nuovo numero di Lungarno, all’interno degli eventi di Estate Fiorentina
La scena underground giapponese sembra aver sviluppato una sinergia molto forte con il krautrock: penso a Bo Ningen, Acid Mothers Temple, Nisennenmondai e, più recentemente, Minami Deutsch, per citarne alcuni. Come vi collocate in questo paesaggio musicale?
«Non sentiamo di appartenere a nessuna “scena” specifica. Ogni membro della band proviene da un background musicale diverso, come punk, psych, folk, reggae, house, techno. La nostra ispirazione non proviene da un genere o da una scena, ma piuttosto dai luoghi in cui siamo stati, dagli spazi in cui abbiamo trascorso del tempo e dai momenti che abbiamo vissuto. Per esempio, l’aria umida e l’atmosfera dell’India o della Thailandia, e le persone che abbiamo incontrato lì: questi ricordi spesso si trasformano direttamente in suoni. Ecco perché la nostra musica fonde naturalmente elementi delle tradizioni popolari mondiali, comprese quelle giapponesi, con un’energia futuristica, quasi new-wave. Un’altra cosa che ci sta molto a cuore è creare musica a cui chiunque possa connettersi, anche se non sa nulla di musica: bambini, anziani, chiunque. Vogliamo esprimere qualcosa di primitivo, un sentimento che sorge dal profondo. Ai nostri spettacoli c’è gente che grida, ride, piange, tutti condividono la pista. E tutti possono ballare, ognuno a modo suo».
Qual è il vostro processo creativo? È più orientato verso le jam session o è più “organizzato”?
«Le nostre canzoni di solito iniziano per “gioco”. A volte nasce da una jam, a volte qualcuno porta un’idea chiara e noi la sviluppiamo insieme. Ma la cosa più importante per noi è questa: “È divertente? Riesce a far emozionare e ridere le persone?”. Questa è la nostra bussola. Veniamo da Osaka, una città nota per la comicità e l’umorismo, e in un certo senso il nostro spirito di band riflette questo. Ci piace mantenere le cose giocose e inaspettate».
Avete suonato in giro per il mondo. Qualche aneddoto dai vostri tour?
«Uno dei momenti più indimenticabili è stato un live show in barca che abbiamo fatto sul fiume Gange a Varanasi, in India. Niente è andato come previsto – non c’erano altoparlanti adeguati, c’era il caos totale – ma in quel luogo sacro, spesso chiamato “il fiume della morte”, abbiamo sentito qualcosa di profondo mentre condividevamo il suono e lo spirito con tutti i presenti. È stato crudo e reale e ci ha lasciato un segno indelebile».
Che cos’è l’”Ee-ya-naika energy” a cui fate spesso riferimento?
«“Ee-ya-naika” è un grido della cultura giapponese dei festival. Incoraggia l’autoliberazione e l’euforia collettiva. In realtà deriva da un movimento sociale del tardo periodo Edo, quando le persone protestavano contro l’oppressione ballando e cantando nelle strade. Non si trattava di rivoluzione politica, ma di esprimere le proprie speranze per un mondo migliore attraverso la gioia, il caos e la liberazione».