Il cellofan soffocante avvolge una delle innumerevoli mini-copie da bancarella del David. Una pellicola trasparente adagiata tanto perfettamente sulle forme dell’oggetto da potervi immaginare una colata di liquido vischioso che, in pochi secondi, impedisce il movimento e il respiro.

È così che Camilla Fatticcioni, fotografa residente a Firenze, comunica il disagio percepito, soprattutto nei mesi estivi, con l’arrivo delle orde indomabili di turisti mordi e fuggi, quelli della consueta tratta Roma-Firenze-Venezia in una settimana o poco più. Cruel Summer è il progetto fotografico – al momento sul capoluogo toscano – che Camilla Fatticcioni ha pubblicato per Perimetro e nasce dall’esigenza di proporre un racconto personale e riflessivo sull’attuale e complessa questione dell’overtourism.

In breve, quel fenomeno turistico per cui alla disomogenea diffusione geografica, locale e su ampia scala e senza tener conto delle capacità di accoglienza di un luogo, si somma la cattiva redistribuzione delle risorse, dirette e indirette, che dall’industria del turismo derivano. Negli ultimi quindici anni, infatti, il turismo – nella sua accezione moderna di fenomeno di massa di una società consumistica – è stato portato alle estreme conseguenze dall’influenza dei social sulle nostre scelte. È questo il focus del lavoro di Camilla: un’indagine visiva che racconta come le città vittime di overtourism siano destinate ad essere percepite come scenografie per selfie e scatti fotografici che, volontariamente privi di originalità, si uniformano nel soggetto e nella composizione per essere mostrati sui profili social e, per i più esperti, puntare all’engagement.

L’educazione che, consapevolmente o meno, riceviamo dal web è infatti rivolta al consumo dell’immagine: non è tanto il valore storico o artistico di questo o quel monumento quanto piuttosto la sua “instagrammabilità”. Le città diventano così simulacri di se stesse a cui ci si approccia superficialmente, in assenza di quella sensibilità necessaria per cui una relazione, sia essa con una persona, con un oggetto, con un luogo, possa definirsi sana. «Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo […]. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante…», scriveva Calvino.

 

foto di Camilla Fatticcioni