Michele Baldini (e Chat GPT)

 

Siamo stati a vedere la finale dell’ edizione 2025 e qualche domanda è sorta spontanea, a cui abbiamo chiesto di rispondere a… ChatGPT.

Cominciamo con il rapido riassunto di cosa è successo sul sabbione e dalla vittoria dei Rossi di Santa Maria Novella

Sole a picco, il Corteo Storico entra in Piazza Santa Croce. Spalti gremiti, tifoserie e fumogeni accesi. Carlo Conti è il Magnifico Messere dell’edizione 2025.

In campo, Rossi di Santa Maria Novella contro Verdi di San Giovanni. Si comincia alle 18 e 37. Parte bene la squadra verde, ma è solo un’illusione: dopo un avvio equilibrato (3-5 per i Rossi dopo 20 minuti), i rossi accelerano, costruiscono, dominano. A metà partita sono già avanti 11-3. Daniel Lopez e Renzoni guidano un assalto costante, mentre i Verdi cedono sotto la pressione e le assenze pesano.

Il risultato finale è netto: 18 a 4 per i Rossi, che conquistano la loro terza vittoria consecutiva dopo i successi del 2023 e 2024. Una vera e propria dinastia, nata dentro e fuori il campo, tra preparazione, spirito di gruppo e una tifoseria che — anche stavolta — ha invaso il campo per festeggiare.

A questo punto ci starebbe un bel “C’è polemiha?” No. Assolutamente. Né in campo né fuori. A parte il fatto che tifo Bianchi e che sono vacche magre dal 2017, sono anche del “Team Sì”: a me il calcio storico piace. Mi dispiace solo un po’ per il povero ruminante (a proposito di vacche) costretto a sfilare in corteo (v. foto). Ma siccome questa resta un’opinione personale e quindi parziale, mi è sembrato giusto interpellare un esperto imparziale per rispondere a 5 domande. Sono domande provocatorie, che immaginiamo in molti si siano posti, soprattutto chi, viceversa, appartiene al “Team No”.

L’esperto in questione è la più diffusa chat di intelligenza artificiale: GPT. Di seguito le domande che gli abbiamo posto e le sue risposte. Tutt’altro che banali.

Ma davvero il Calcio Storico oggi ha ancora un senso, o è solo una pagliacciata per i turisti?

La domanda è lecita, soprattutto in una città dove ogni tradizione rischia di diventare souvenir. Il Calcio Storico, però, sfugge alla semplice cartolina. Non è nato per il turismo – semmai è stato recuperato nonostante il turismo – ed è un rituale urbano complesso che parla ancora di comunità, di identità territoriale, e anche di conflitto.

Certo, negli ultimi decenni la spettacolarizzazione è aumentata, e i biglietti si vendono più come per un festival che per una festa popolare. Probabilmente le “vecchie glorie” si tufferanno nella nostalgia dei bei tempi. Ma sotto la superficie resta un nucleo profondamente locale: i quartieri, le famiglie, le generazioni. Chi gioca, spesso lo fa per appartenenza più che per visibilità. Il problema non è tanto il “senso”, ma chi lo racconta e per quale scopo. E grazie allo speaker si impara (o si ripassa) anche un po’ di Storia Moderna (e della gloriosa Firenze Rinascimentale).

Non è troppo violento? E che senso ha oggi esaltare la rissa?

La violenza nel Calcio Storico esiste. È visibile, codificata, spettacolare. Ed è un problema se non la si legge nel suo contesto. Ma attenzione a separare troppo facilmente “violenza” da “rappresentazione”. Il Calcio Storico è anche una messa in scena regolata, un contenitore rituale per sfogare tensioni collettive. In questo, somiglia più al teatro che allo sport.

Chi grida allo scandalo spesso ignora che molti calcianti vivono quella violenza come linguaggio e disciplina, non come brutalità gratuita. Allo stesso tempo, c’è una riflessione necessaria da fare: cosa succede quando lo scontro simbolico viene consumato davanti a uno smartphone, per diventare contenuto virale? A quel punto sì, il rischio di degenerazione è reale.

È roba per maschi alfa, machismo tossico e pose fascistoidi, no?

Un altro pregiudizio, difficile da ignorare. Certo, il Calcio Storico è un rituale fortemente maschile, e spesso sconfina in una retorica muscolare che può risultare indigesta. Ma dipingere il tutto come “fascio” è pigro, e per certi versi ingiusto.

In realtà, molte delle dinamiche interne sono molto più comunitarie che autoritarie. I calcianti provengono talvolta da ambienti popolari e vivono questa esperienza come un’occasione di riscatto, di appartenenza di inclusione tra pari. È un mondo eterogeneo, dove si intrecciano orgoglio interclassista, radici locali e anche aperture nuove: negli ultimi anni, ad esempio, si sono integrati calcianti di seconde generazioni e si sono moltiplicate le riflessioni su come aprire il gioco anche al femminile. Conquiste o conformismo? Questione delicata.

È ancora una festa popolare, o solo un evento per vip e politici?

Questa è la domanda più dolorosa. La risposta? Un po’ entrambe. L’arena di Piazza Santa Croce è sempre stata spazio di potere e rappresentazione, sin dalle origini. Che oggi ci siano tribune istituzionali, sponsor e selfie con vista non stupisce. Ma ridurre tutto a questo significa ignorare ciò che accade fuori campo: nelle piazze dei quartieri, nei cortei, nei cori, nelle cene e nei training collettivi che precedono la partita.

Il Calcio Storico è uno dei pochi eventi in cui i “dentro” e i “fuori” della città si parlano ancora, anche solo per scontrarsi. Se si vuole riportare l’evento alla sua matrice popolare, bisogna guardare lì, non nei palchi.

D’altronde anche in altri sport (e in particolare nel calcio) spesso è così: qualcuno ha per caso seguito le presenze in tribuna vip del Como nella scorsa stagione?

Non sarebbe meglio abolirlo e fare qualcosa di più “civile”?

La civiltà non si misura con la quantità di sangue versato, né con l’assenza di conflitti. Il Calcio Storico non è un modello da esportare, ma nemmeno una barbarie da cancellare. È un oggetto culturale complesso, che può essere ripensato, riformato, magari reso più inclusivo e meno tossico, ma non rimosso.

Cancellarlo significherebbe lasciare ancora una volta che siano le istituzioni a decidere cosa è degno di rappresentare una comunità. Meglio, semmai, che sia la comunità stessa a prendersene cura, a criticarlo, a reinventarlo. Anche con tipologie di sguardo decostruito. Magari proprio partendo da chi oggi ne è più distante.

Lasciamo un finale sospeso, sollevati dal non aver investito responsabilità personali in queste risposte. Solo una chiosa: qualcosa di interessante ieri è successo – nei gesti, nei volti, nelle contraddizioni. Raccontarlo significa uscire dalle semplificazioni e provare a capire cosa dice oggi questo gioco antico alla città che lo ospita. Una città che cambia, ma che ha ancora bisogno dei suoi riti per guardarsi allo specchio e – come sempre piace a fiorentini autentici o acquisiti – fare un po’ di polemica stracittadina.