Dire che avessi enormi lacune quando dieci anni fa mi apprestavo a sostituire un collega per intervistare un regista al Florence Korea Film Fest, è un eufemismo. Dover parlare in pubblico, con un microfono, su un palco e con un interprete che traduceva le mie domande in una lingua, di cui all’epoca non conoscevo una parola, a qualcuno che veniva dall’altra parte del mondo era piuttosto paralizzante. Accettai comunque perché dovevo prendere qualche rischio se volevo andare avanti con questo lavoro.

Dieci anni come assistente alla programmazione, due viaggi in Corea, centinaia di film visti e decine fra cineasti e attori intervistati dopo, posso dire che è andato tutto bene. Ma, come quello che finisce per essere significativo nelle nostre vite, non è stato facile. Il primo, enorme, scoglio sono stati i nomi degli attori tanto che per molto tempo mi sono affidata unicamente ai volti. Uno in particolare aveva la capacità di colpirmi fino a sconvolgermi. Un volto gentile ma all’occorrenza anche crudele e indifferente, che apparteneva a un attore con una voce sottile, musicale, talvolta sospirata che vedevo impegnato, e sempre impeccabile, nei ruoli più disparati.

Film drammatici, thriller, melodrammi, commedie e persino in qualche pellicola ad alto tasso erotico. Si tratta di un attore che, come molti di coloro che ho avuto il privilegio di intervistare, appartiene a quella generazione che ha cavalcato tutta la Korean Wave affermandosi all’inizio degli anni 2000. La stessa di cui fanno parte i due protagonisti di Squid Game per intendersi. Interpreti che hanno ridefinito un nuovo concetto di mascolinità, imperfetta, vulnerabile, seducente e molto diversa dall’immagine del divo asiatico alla Bruce Lee.

Il volto che tanto mi aveva colpita aveva però qualcosa di insolito, meno patinato di quello dei colleghi che venivano dalla moda. Intervistando registi che lo hanno diretto ho appreso che proprio quella irregolarità dei tratti ha reso difficile gli inizi per questo interprete non considerato classicamente attraente. Ha ottenuto infatti il primo ruolo da protagonista a 35 anni ma da allora ha avuto un’ascesa costante che lo ha portato a diventare protagonista di alcuni dei film più visti al cinema in patria. Mentre altri conoscevano periodi meno fortunati con l’avvicinarsi dei 40, lui otteneva ruoli ogni volta più importanti in pellicole che venivano presentate nei maggiori festival internazionali.

Hwang Jung-min è il nome di questo gigantesco personaggio che avremo l’onore di avere come ospite in questo 23esimo Florence Korea Film Fest. Un vero e proprio monumento del cinema coreano che solo quest’anno ha vinto due premi come miglior attore. Una retrospettiva, una masterclass e la possibilità di conoscere finalmente qualcuno che mi è diventato nell’ultimo decennio, suo malgrado, estremamente familiare è significativo per me proprio in questo anniversario e invito tutti gli appassionati di cinema e di Corea a vivere insieme questa opportunità unica al Florence Korea Film Fest dal 20 al 28 marzo a La Compagnia.