La quarta edizione di Mixité – Suoni e Voci di Culture Antiche e Attuali – con 13 live in programma fino a maggio al Parc di Firenze, si apre domenica 2 marzo con il progetto in prima assoluta “Lolo”. Concerto per Rokia”, targato TPM, che coinvolge Stefano Pilia al basso, Mamah Diabate – maestro del ngoni del Mali attualmente richiedente asilo in Italia -, Jabel Kanuteh – suonatore di kora del Gambia – e Marco Zanotti alla batteria.

Quattro tra i più apprezzati alchimisti sonori tra Africa e Europa si sono uniti per un progetto di solidarietà nei confronti di Rokia Traoré, regina della musica del Mali, arrestata in Italia a giugno con mandato internazionale e detenuta in Belgio fino a poche settimane fa.

Siamo riusciti ad avere uno scambio di battute con Stefano Pilia prima del concerto.

 

Grazie per aver accettato questa intervista. Inizio subito chiedendoti del progetto che porti a Firenze. State cercando di dare voce a Rakia, musicista e attivista per i diritti umani. È proprio un dare voce perché la sua vicenda non ha trovato, oltre alla vostra, una voce che avesse la forza di raccontarla. Non se n’è parlato, non se ne sa niente o quasi. E ci fa piacere, come rivista, essere un mezzo e uno spazio per raccontarla. Come si è formato questo gruppo di quattro musicisti e come è nata l’idea del progetto?

Io e Mamah ci conosciamo proprio perché abbiamo suonato con lei per tanti anni. Mamah l’ha sempre affiancata fin dall’inizio e io dal 2013. Abbiamo fatto un disco insieme che è Beautiful Africa. Abbiamo lavorato insieme fino agli inizi del 2020 poi lei è stata arrestata. Con Mamah in tutti questi anni c’è sempre stato il desiderio di portarlo in Italia e fare altri concerti; con lui poi è capitato che ho conosciuto Marco Zanotti che è appunto venuto nel 2016 o 2017 a vedere un concerto di Rokia perché Marco è molto appassionato di musica africana e ha anche un’orchestra che si chiama Orchestra Afrobeat di cui è direttore e mente. Ha collaborato con Rokia tramite una mia intercessione, in un certo senso, dopodiché io ho partecipato nel lavoro di Marco e Kanuteh che avevano già un gruppo. Diciamo quindi che questo gruppo nasce un po’ da due collaborazioni precedenti: io e Mamah da un lato, Jahel e Marco dall’altro.

Lo scorso anno, a giugno, Rokia era venuta per suonare con la sua band a Roma ma non le è stato permesso perché è stata arrestata. A quel punto Mamah è rimasto in Italia chiedendo asilo politico perché la situazione in Mali è molto complicata e quindi abbiamo finalmente deciso di realizzare qualcosa insieme. Come vedi sono varie le ragioni che ci hanno portato a mettere assieme questa cosa e sicuramente il progetto non nasce per raccontare solo di Rokia ma Rokia è la figura che ci ha fatto incontrare tutti e quindi anche in questo momento così difficile per lei era molto giusto e molto sensato dedicarlo a lei. Come dici tu è anche per raccontare la sua situazione e quello che le è successo.

Su di lei non si trovano molte informazioni, c’è pochissimo on line e anche sui quotidiani. Io ho visto nella vostra iniziativa un modo per dare voce a chi non può parlare, a una persona a cui viene negato il diritto alla parola. È stata trattata quasi come se fosse una terrorista pur non avendo commesso nessun atto terroristico. Non so se ho usato parole troppo forti, che ne pensi?

Sono d’accordo, condivido pienamente quello che hai detto. Al di là di dove sia la ragione dell’affidamento della figlia che è una questione secondo me secondaria, trovo che sia davvero sproporzionato quello che sta subendo. Quello che è più dissonante in tutta la storia, ciò che mi ha più allarmato è la modalità, il modo in cui è avvenuto e la gravità della questione. È uscito un articolo su The Guardian che racconta la sua storia perché adesso Rokia è uscita di prigione, è stato trovato un accordo sull’affidamento però è in attesa che le venga riconsegnato il passaporto e questo non avverrà ancora per lungo tempo quindi di fatto è bloccata a Parigi.

Voi siete in contatto con lei in questo periodo o non avete possibilità di parlare con lei?

Adesso sì, ora che è uscita ci siamo sentiti un paio di volte ma durante la sua detenzione in carcere non era possibile parlare.

Quindi è a conoscenza del concerto e del progetto che porterete a Firenze domenica?

Certo, gliel’ho detto.

E mi potresti dire cosa ha pensato? Perché Firenze ha una vocazione importante per la musica, non è soltanto la culla del Rinascimento ma è pronta ad accogliere progetti engagé. Dopo tutto, la musica viene definita anche un’arte sorella; è importante, ripeto, dare voce a questo tipo di progetti e farli conoscere. Tutto questo per chiederti se ti ha riferito le sue impressioni, se ti ha detto cosa ne pensa.

Era contenta dell’iniziativa, le ha fatto piacere. Era contenta anche per Mamah, per il fatto che potesse lavorare di nuovo. Ti confesso però anche che è talmente presa secondo me da una serie di questioni ed anche ad un riadattamento, ad un riabituarsi alla vita.

Vita però tra virgolette ancora, no?

Ha ancora un sacco di cose da risolvere.

Adesso una domanda per te, di natura più personale. Qual è il tuo rapporto con Firenze? Te lo aspettavi che questo progetto fosse accolto, che ci sia stato un supporto nel portare sul palco un argomento di questa portata?

Fabbrica Europa si è sempre occupata di musica africana e quindi da subito è stato un interlocutore al quale abbiamo pensato sia io che Marco. Tra l’altro gli organizzatori conoscono la musica di Rokia, sapevano che io ho suonato con Rokia per tanti anni quindi questo asse era già presente.

Ho avuto il piacere di ascoltare il vostro album prima dell’intervista. Qual è il brano a cui sei più vicino e se c’è un motivo per cui sei particolarmente legato a quel brano, che magari mi dirai, spero.

A me piace molto Tilo che è un brano dove Marco suona la calabash. Non ti so dire perché. Mi mette molta gioia. Mi piace molto anche come suonano Jahel e Mamah lì, molto esplosivi.

Mi puoi dire qualcos’altro sul concerto? Una curiosità?

Per me è un concerto molto particolare perché è la prima volta che ritorno al basso. Sono nato come bassista e poi sono passato alla chitarra e qui era più funzionale suonare il basso.

 

Grazie Stefano, ci vediamo al concerto domenica!