Con un giro d’affari stimato in oltre 240 miliardi di dollari e un pubblico equamente distribuito tra uomini (53%) e donne (46%), i videogiochi sono oggi la più grande industria dell’intrattenimento globale. Ma se l’epoca dell’hobby per soli ragazzi sembra tramontata, la rappresentazione di genere resta ancora sottodimensionata: «Le protagoniste donne rappresentano più o meno il 20% dei personaggi dei videogiochi: siamo nell’ampia minoranza» ci dice Lorenzo Fantoni, giornalista e critico videoludico fiorentino. «Dopo la crisi dell’industria del game del 1983», prosegue, «si è assecondato un luogo comune: dato che si trattava di cose tecnologiche basate sulla competizione, i videogiochi dovevano piacere solo ai ragazzi. Così, anche se all’epoca c’erano già ragazze che giocavano, prodotto e marketing parlavano solo agli uomini. La figura femminile all’interno del gioco quindi è stata quasi sempre pensata come innesco narrativo, basandosi su archetipi classici: eroe salva principessa. Con qualche eccezione. Lara Croft ad esempio ha avuto un trattamento pari a quello di una pin up, ma al contempo ha rappresentato un modello di donna avventurosa e indipendente, che poteva esercitare fascino sulle ragazze come l’uomo d’azione esercitava fascino sui ragazzi. All’epoca funzionava, oggi viviamo in un contesto culturale differente e questa visione è stata giustamente messa in discussione».
Secondo Women in Games questa bassa e stereotipata rappresentazione deriva anche dal fatto che le donne impiegate nel settore sono poche, circa il 24%.
«Quello del videogame è un settore lavorativamente respingente per le donne. Oggi siamo lontani dagli anni della frat boy culture di Atari, eppure il Gamergate (movimento di odio e molestie contro le donne nel settore videoludico, esploso nel 2014, ndr) è stata una reazione violenta contro il tentativo del settore di aprirsi e denunciare problemi strutturali all’interno dell’industria e della community».
Perché?
«Perché per alcune persone il videogioco è un concetto identitario e sentono il dovere di difenderlo da chi fa scelte differenti. A me fa sorridere quando si dice che i videogiochi devono essere apolitici o non devono fare la morale. Niente è apolitico o amorale, ma ce ne accorgiamo solo quando abbiamo a che fare con qualcosa che stride contro la nostra politica o morale. A me sembra che il settore soffra di infantilismo nel voler rivendicare di volersi solo divertire. Che va bene, è lecito volersi divertire, ma deve esserci spazio anche per la complessità e la diversità. Questo senso di accerchiamento che alcuni giocatori sentono di avere non trova riscontro nei dati che descrivono la realtà, eppure siamo arrivati ad avere le liste dei giochi considerati troppo woke».
Le aziende come rispondono?
«Cercano di essere attente e inclusive, ma a volte manca la cultura di base. Blizzard pubblicò Overwatch, un gioco con personaggi rappresentativi delle minoranze LGBTQIA, poi l’azienda venne indagata per discriminazione, disuguaglianza e molestie di genere nel lavoro. L’industria ha poi il grosso problema del crunch (ultralavoro, ndr), dovuto a un mercato ipertrofico. La questione femminile quindi è un tema grosso all’interno di un tema ancora più grosso di un’industria gigantesca, benché di nicchia data la barriera iniziale di fruizione».
In Italia come è recepito il tema?
«Qui non si è investito seriamente nel settore, perché abbiamo un problema con le industrie di divertimento puro. Associamo la parola cultura al teatro, all’opera, a un certo tipo di cinema e letteratura, non al videogioco».
Ti sei mai identificato in un personaggio fuori standard?
«Guybrush Threepwood di Monkey Island, risolveva i problemi con ironia e intelligenza in un mondo dominato dalla violenza».
Giochi consigliati per esplorare la diversità?
«The last of us, The Sims, Hellblade, Papers Please, Life is Strange, Undertale, Gris, Night in the woods, Celeste e I was a teenage exocolonist».
Per chi vuole approfondire la storia, consigliamo due libri:
- Vivere mille vite, di Lorenzo Fantoni (effequ, 2023)
- Videogioco: femminile, plurale, di Fabrizia Malgieri, Fiorenzo Pilla, Tiziana Pirola e Lorena Rao (Ledizioni, 2024)