di Tommaso Bonaiuti

Grazie agli amici di Belle Parole e Quindi Records, giovedì 28 novembre atterra al Circolo Vie Nuove ONDAKEIKI, il super-gruppo formato a Milano da Rella (Everest Magma, Eternal Zio), Nicola (Servant Songs, Pueblo People, His Electro Blue Voice) e Giacomo (Porta d’Oro, Kobra), per presentare il primo EP “Canti Vol. I”, uscito per Sentiero Futuro Autoproduzioni. Tommaso Bonaiuti ha raggiunto la band per fare loro qualche domanda.

 

Parto con un tema semi-serio, sotto forma di osservazione più che di domanda vera e propria. In Italia sembra praticamente impossibile non coniugare un messaggio politico a certe sonorità. Il reggae o il dub (o altri derivati) sono spesso oggetto di questa combinazione e di musica “politica” in Italia ne abbiamo avuta molta, forse troppa. Voi invece siete una bella boccata d’aria fresca in questo senso, e per quanto mi riguarda, preferisco una dimensione più celeste, cosmica e psichedelica che strettamente sociale – politica, appunto.

Posto che lo snobismo (musicale e non) è un atteggiamento che cerchiamo di lasciarci alle spalle, lo scopo di ascoltare musica dovrebbe essere anche stare un po’ bene, quindi al di là dei gusti personali e delle cose oggettivamente un po’ bolse, viva le boccate d’aria ma non ci interessa ricercare l’innovazione a ogni costo. Non esiste dimensione “celeste, cosmica e psichedelica” senza la dimensione politica. A livello personale pensiamo che nessuno di noi tre sia mai stato molto a suo agio con gli slogan “facili”, ma questo non vuol dire che non ci sia politica in quello che facciamo. Solo che forse si esprime più nel “come” che nel “cosa”, nei luoghi che scegli di frequentare e nel modo in cui stai con le persone, in primis quelle più vicine a te. E poi se quando vai a sentire un concerto ti fai anche un sorriso non è proprio un male, ecco. Nell’universo di ONDAKEIKI, comunque, non ci sono autorità, né eserciti, né confini, né prigioni.

 

“Canti Vol. I” esce in un contesto abbastanza specifico. Noto spesso che la direzione comune di chi fa musica in Italia sia quella del raccontare: storie, aneddoti, cazzate varie. Si tende alla verbosità, forse per il legame stretto con la musica leggera o con il “cantautorato”. Voi invece cantate di polveri di stelle, mondi sconosciuti, robe dello spazio, non “mondane”. Per voi, anche come ascoltatori intendo, è più importante prestare attenzione alle parole o farvi trasportare dai suoni?

Ci sono autori che con la verbosità ci hanno fatto cose bellissime. Altri autori le hanno fatte con poche parole e con la libera associazione. Alcuni dei nostri testi partono dal suono di parole a caso e piano piano si solidificano in versi, e il significato arriva dopo, ma non significa che il significato non ci sia o che non importi. Non pensiamo ci sia una formula unica che funziona per tutto: dipende sempre da cosa si vuole dire e cosa si vuole ascoltare in quel momento.

Se voi foste seguaci del rastafarianesimo, quale sarebbe la vostra “terra promessa”, la vostra Zion? Anche luoghi non-fisici o non esistenti vanno bene.

C’era un posto fra le montagne, qualche anno fa, si chiamava Mü, forse era un sogno…

Citavo prima la parte testuale/verbale della musica. Al netto del fatto che la vostra cassetta non contiene una gran smania di chiacchiere (e questo mi piace, molto), la prima traccia parte con un invito: “Lascia andare il tuo ego”. Oltre a ricordarmi un lisergico e inquietante Frank Zappa che parla vicinissimo al microfono in We’re only in it for the Money, o Ariel Pink che fa lo stesso 30 anni dopo nelle sue cassettine fatte in casa, mi ha anche riportato mentalmente a robe new age anni 70/80, musica per la meditazione etc (giro non a caso, forse legato a certo tape trading, copie private, etc). Oggi lo chiamerebbero ASMR, forse. Per voi c’è più un elemento giocoso in questo, o provate effettivamente a creare un qualcosa che faccia “ascendere spiritualmente” chi vi ascolta?

L’aspetto legato al suono di quelle frasi viene principalmente da un uso piuttosto grezzo e ingenuo del campionatore con cui sono state registrate. L’invito si riferisce in parte al resto del testo e in parte, forse, rispecchia un po’ l’idea di fare musica di OK, cioè facendo un passo indietro, amalgamandosi e restituendo una cosa viva e collettiva. Finché il nostro bambino interiore è presente e gioca con noi alla musica, tutto va bene. Il gioco serve ad ascendere spiritualmente, le due cose non sono opposte, e la spiritualità non è una cosa seria. Pensa a Terence McKenna e alla sua teoria del “cosmic giggle”. Capita relativamente spesso che, mentre suoniamo, in saletta, uno di noi alzi lo sguardo verso gli altri e si metta a ridere, perché sta pensando tipo “Ma cos’è ‘sta roba?”: anche quello è un bene.

Parlando di new age, robe cosmiche e musica perlopiù basata sull’improv, siamo in un periodo storico in cui certe sonorità sono state rivalutate. Soprattutto musica strumentale, che fungeva da “abito” per altre produzioni, vedi la library ad esempio. Secondo te da cosa deriva questo rinnovato interesse? La gente cerca musica meno invadente? Oppure ha semplicemente più tempo per ascoltarla e comprenderla “veramente”?

Si potrebbero fare cinquantamila speculazioni sociologiche e di solito le facciamo in macchina andando ai concerti, ma alla fine le fasi della musica sono misteriose. E le fasi del mercato sono poco interessanti.

 

Sempre riprendendo il tema testuale (o meta-testuale) che trovo nella vostra musica, è curioso notare come il mondo dub sia costellato da eminenze grigie che si fanno chiamare “scientist”, “doctor”, “professor”, etc. Questo denota uno spirito più scientifico, appunto, di esplorazione e ricerca di mondi lontani, e di suoni “non umani”. Quali sono state per voi le figure di riferimento nel genere, quelle a cui avete guardato di più, magari plasmando il vostro sound sulle loro intuizioni?

Pensiamo che quei nomi siano dovuti più all’idea dell’alchimista che traffica con macchine misteriose nel suo studio. Come punto di ingresso – oltre a Bob Marley – i principali riferimenti sono state le produzionminimalismo Rhythm & Sound/Basic Replay/Greensleeves/Jah Shaka Music, come idea di suono “misto” On-U Sound. Però noi facciamo anche altro, c’è un’alta dose di “non-dub” nella nostra musica che viene da tutti gli altri nostri ascolti: di sicuro ci puoi sentire Sonic Boom/Spacemen 3, certo fricchettone italiano alla Juri Camisasca, ma pure gli Stooges o i Velvet Underground.

Ondakeiki è un progetto che, presumo, sia alimentato da numerose jam sessions. Se voi tre doveste scegliere altri 3 musicisti che apprezzate (vivi o morti, del presente o del passato) con cui improvvisare in saletta, chi sarebbero?

In realtà siamo più concentrati sulla scrittura di quanto si pensi. I musicisti “storici” ci mettono in soggezione e non credo ci improvviseremo tanto bene.

Preferiamo suonare con gli amici.

 

https://www.instagram.com/ondakeiki/
https://sentierofuturoautoproduzioni.bandcamp.com/album/canti-vol-i

 

ONDAKEIKI live
giovedì 28 novembre, ore 21,30
Circolo Vie Nuove (Viale Giannotti, 13)
Ingresso: 5  euro con tessera ARCI