di Ilaria Bandinelli

Quando parliamo di arte urbana, nell’inteso “manifestazione artistica che trova il suo compimento nel contesto urbano, attraverso numerosi mezzi espressivi, come espressione di un valore estetico, di un messaggio diretto o di affermazione dell’identità dell’artista”, ci riferiamo ad un movimento di arte contemporanea globalmente affermato.

La definizione, sebbene articolata sulla contemporaneità, può essere estesa eventualmente alle numerose manifestazioni pittoriche e graffite che possediamo dal passato. Per citarne alcuni, ne sono esempi eclatanti i graffiti rinvenuti sui muri degli edifici di Pompei, le decorazioni pittoriche delle facciate dei palazzi Rinascimentali o le iscrizioni votive nei templi pagani e nelle chiese cristiane. Non solo, ma ciò che sembra contraddistinguere l’arte urbana nel passato è la sua liceità.

È vero che sono scarse le notizie circa le autorizzazioni e i divieti che venivano intrapresi, ma gli antichi non erano affatto digiuni dalle presenze artistiche nello spazio urbano. Se viaggiassimo oggi indietro nel tempo per fare quattro passi in una città antica romana o greca, la guarderemmo come un museo a cielo aperto, accorgendoci che al nostro occhio sembrerebbe quasi un allestimento di pop-art.

Colonnati, statue, edifici e templi erano infatti integralmente dipinti, talvolta firmati e graffiti. Gli antichi insomma erano abituati alla pittura e all’arte urbana sicuramente più di noi contemporanei, in quanto parte integrante e fondamentale del loro vivere cittadino. Un vivido contrasto con quelle che sono oggi le nostre città e le attuali regole di decoro urbano, in cui molto spesso le forme artistiche di arte di strada vengono “criminalizzate” e punite.

UN ESEMPIO FIORENTINO: LA FORMELLA DI MICHELANGELO

Un esempio storico di arte urbana per la città di Firenze è la formella di Michelangelo, situata nel cuore della città e talvolta sconosciuta agli stessi fiorentini. Il c.d. Importuno di Michelangelo è infatti un caso emblematico, oggetto di numerosi dibattiti e interrogativi circa la sua attribuzione artistica e veridicità storica. L’Importuno è un graffito, effettuato su una formella rettangolare in pietraforte e localizzato sull’angolo destro del ben famoso Palazzo della Signoria.

Le sue dimensioni rendono difficile scorgerlo in lontananza, lasciando il graffito in una posizione quasi privilegiata, pur trovandosi all’interno di una piazza battuta dal turismo di massa. Avvicinandosi all’angolo del palazzo si noterà che sulla quarta fila dal basso, vi è una pietra su cui è disegnato per inciso un volto maschile di profilo, di cui si scorgono i capelli ricci, il naso importante, l’occhio grande, la bocca carnosa e parte del collo.

Non esistono notizie certe, ma la tradizione popolare fiorentina attribuisce questo graffito al grande (e famoso) artista toscano Michelangelo Buonarroti, datandolo intorno ai primi anni del 1500. La leggenda narra infatti che l’artista avrebbe disegnato sul palazzo il profilo di un importuno (da qui il nome della formella) o di un condannato a morte, visto al momento del suo passaggio in Piazza della Signoria. Per mancanza di dati, la critica si è sempre defilata da un’attribuzione certa, ma un recente studio pubblicato nel 2020 da A. Marinazzo vedrebbe confermare l’attribuzione del profilo alla mano di Michelangelo. Si tratterebbe forse del ritratto dell’artista stesso o dell’amico Granacci, un’ipotesi avanzata tramite il confronto con un simile profilo maschile, disegnato su carta firmata da Michelangelo, e conservato al Dipartimento di Arti Grafiche del Louvre (A. Marinazzo, “Una nuova possibile attribuzione a Michelangelo. Il volto misterioso”, Art e Dossier 379 (2020), pp. 76-81).

RIFLESSIONI PER L’ARTE URBANA

Che sia un falso prodotto nei secoli successivi nel gusto medievale e rinascimentale, non è questa la sede per discuterne. Ciò che invece vale la pena ricalcare di quest’opera è la sua realizzazione su un edificio estremamente significativo, il Palazzo della Signoria, sul quale probabilmente nessuno sarebbe stato autorizzato a “graffitare”. Si ritiene perciò plausibile la sua esecuzione mediante autorizzazione da parte delle autorità cittadine; un’autorizzazione che potrebbe essere stata concessa nel caso di un personaggio noto, come poteva essere il nostro Michelangelo. Se così fosse, questa formella forse databile ai primi del XVI secolo, sarebbe un peculiare unicum artistico ante graffitismo e arte urbana contemporanea.

Non solo, quello che oggi potrebbe essere considerato come atto vandalico e un’autorizzazione non concessa, nella Firenze del passato è stato accolto praticamente per l’eternità. Un’idea faticosa da accettare nella città odierna, dove l’arte urbana risulta ancora discussa e problematica: dalle concessioni, al decoro, alle limitazioni dell’espressività. Dimenticandoci invece, quanto questa forma artistica sia forse la più autentica rappresentazione della nostra società, una fotografia istantanea di un momento storico, che potrebbe coesistere con l’immaginario urbano. A Pompei addirittura scrivevano: “Mi meraviglio, parete, che tu non sia crollata in macerie, visto che sopporti i fastidi di tanti scrittori” (CIL IV, 1904).

 

ARTICOLO DI RIFERIMENTO:

Adriano Marinazzo, “Una nuova possibile attribuzione a Michelangelo. Il volto misterioso”, Art e Dossier 379 (2020), pp. 76-81.   PDF scaricabile online gratuitamente per consultazione