di Fabio Ciancone

Azzurra Rinaldi è economista femminista, insegna Economia Politica presso l’Università Unitelma Sapienza di Roma, dove è anche Direttrice della School of Gender Economics. Nel 2022 ha fondato Equonomics, una società che si occupa di fornire servizi a istituzioni e aziende per portare il tema dell’equità di genere al loro interno. Da poche settimane è uscito per Fabbri il suo secondo libro, Come chiedere l’aumento, che l’autrice presenterà domenica 9 giugno insieme a Vera Gheno a Villa Bardini, nel contesto del festival La città dei lettori (qui trovate il programma completo). Abbiamo dialogato con l’autrice per saperne di più.

Qual è il pubblico di riferimento del tuo ultimo libro?

Il mio pubblico è sia maschile che femminile, nonostante io usi il femminile sovraesteso. Nasce soprattutto dalle richieste dei miei lettori dopo aver scritto il primo libro: alla fine delle presentazioni mi chiedevano di avere strumenti pratici per chiedere un aumento e per parlare concretamente e con sicurezza di soldi in ambito lavorativo. A dispetto del titolo, che strizza l’occhio soprattutto alle dipendenti, per me il tema fondamentale è il valore economico – e quindi il prezzo – del lavoro di ciascun individuo. A prescindere dalla propria mansione, dovremmo a mio parere riuscire a dare un valore economico alla nostra professionalità, alle nostre esperienze e competenze. Sono partita dai dati di Eurostat, che affermano che il livello medio dei salari reali nel nostro Paese è il più basso in Europa. Potenzialmente, tutte le persone che vivono in Italia sono il pubblico giusto per questo libro.

A partire dalla ciò che ti ha insegnato la tua esperienza di ricercatrice, credi che nel contesto economico italiano sia particolarmente complesso trattare per ottenere maggiori benefici dal proprio lavoro?

L’Italia è un Paese in costante crisi, non abbiamo memoria di una fase espansiva reale nella nostra economia, ci rallegriamo quando abbiamo un +0,8% di PIL. Se dovessimo aspettare il momento migliore da un punto di vista macroeconomico per trattare la propria posizione lavorativa, probabilmente non arriverebbe mai, stando alle condizioni attuali. In Italia si fa fatica anche ad assumere una prospettiva matura sul mercato del lavoro e sul suo capitale umano, siamo ancorati all’idea che i lavoratori siano interscambiabili fra loro, il che non è possibile, poiché ogni persona porta sul mercato del lavoro esperienze e background diversi: ogni risorsa è unica. Se tutte cominciassimo a chiedere l’aumento contemporaneamente nascerebbe una piccola rivoluzione dal basso.

Che ruolo credi che svolgano la solidarietà e l’aiuto reciproco tra lavoratrici nel contesto di una contrattazione lavorativa?

Credo che, sebbene siamo cresciute con il pregiudizio che le donne siano nemiche delle donne, i dati ci dicono che, quando una donna arriva in posizione di leadership, chiama altre donne con sé. Il problema è che per arrivare al vertice è necessario essere in qualche modo organici al sistema, quindi difficilmente sarà possibile per una persona che rischia di metterlo in crisi o in discussione. In generale, la solidarietà è un tema che nella negoziazione entra poco, anche perché la concepiamo come una sorta di “battaglia”. Non abbiamo capito, invece, che la negoziazione è un processo, tant’è vero che anche dopo un “no” alle nostre richieste è possibile costruire un percorso che ci porti ad avere condizioni lavorative migliori. Il libro è un auspicio di rivoluzione culturale.

Che tipo di discorsi ci sono su questi temi dentro l’accademia italiana? Come ci relazioniamo alla cultura del denaro nella ricerca scientifica?

L’economia femminista è l’argomento di cui scrivo in generale e di cui mi occupo nel centro di ricerca che dirigo. Il tema del denaro, tuttavia, è studiato pochissimo al livello culturale: gran parte della letteratura economica viene dai Paesi anglosassoni, dove la matrice culturale protestante fa sì che la questione del denaro in senso pragmatico sia molto più assodata che nell’area di tradizione cattolica, in cui c’è più disagio a parlarne. Per questo motivo me ne occupo prevalentemente da un punto di vista divulgativo. Mi piacerebbe moltissimo che questi temi siano trattati anche dall’accademia, mancano tantissimi studi anche di base al riguardo. Cerco da tempo finanziamenti ma non li trovo, e questa ritrosia è di per sé un dato.

Nel corso delle tue presentazioni che tipo di riscontri hai avuto e da che tipo di pubblico?

Molto spesso mi scrivono persone che mi dicono che dopo aver letto il libro si sono decise a chiedere un aumento e io partecipo emotivamente alle loro storie. Qualche settimana fa, Filippo La Porta durante una presentazione ha definito il mio libro uno strumento militante e questa definizione mi soddisfa molto. Scrivere per le persone e non soltanto per l’accademia è un atto di militanza, semplificare e rendere comprensibili i concetti li rende uno strumento di consapevolezza e, di conseguenza, di azione.

 

Crediti fotografici: Ilaria Corticelli