di Carlo Benedetti
Le case di Firenze non sono tutte uguali: oltre le differenze di metratura, al di là delle idiosincrasie di muri, tinelli, corridoi e soppalchi, nascondono in profondità, nei vani scale che portano a cantine condominiali dimenticate, nei loculi che ospitano contatori seriosi e costantemente in movimento, un cuore silenzioso che le rende diverse da ogni altra casa.
Quando ci trasferiamo, infatti, c’è sempre qualcosa che manca e – per quanto precise siano le liste del trasloco, per quanta attenzione mettiamo nel controllare le scatole – non sappiamo mai dire cosa sia.
Guardiamo il nostro divano – lo stesso che in Via dei Pepi sembrava così giovane, sbarazzino, carico di falsa eleganza, un’eleganza che si prende in giro – e ci sembra qui, nella tranquilla periferia, via dell’Anconella, via di Ripoli, il divano di nostra nonna, fuori luogo, irrimediabilmente passato. Ma il divano non ha colpa: sono le case di Firenze che giocano con le nostre vite.
Che prendono qualcuno che amavamo disperatamente appena qualche mese fa, in centro, prima di trasferirci, e lo trasformano in un coinquilino insopportabile, un conoscente che per qualche ragione non se ne va mai. Il suo modo di masticare, la sua mania di pulire, la foto di sua mamma che ci guarda dal cassettone – quando mai abbiamo voluto un cassettone? – tutto è insopportabile.
Le case di Firenze sono irrequiete: ci spingono a muoverci, lasciandoci alle spalle una scia di amori infranti, speranze e sogni. Ce ne promettono di nuovi ad ogni nuova chiave che accettiamo dalle mani sudate di un agente immobiliare. Ma di notte, mentre siamo a lavoro, le case di Firenze ridono di noi, dandosi di gomito con gli appartamenti vicini: «Guardalo, ci crede ancora!» e poi si assestano, con un rumore secco che apre piccole fessure nei muri, in attesa di vederci rientrare.
Olga Tokarczuk, Casa di giorno, casa di notte, Bompiani, 2021 – 19€