Sono convinto che Galileo Chini fosse un tipo indaffarato. O almeno, questa è l’impressione che lascia la mostra “Galileo Chini e il Simbolismo Europeo”, visitabile fino al 25 aprile presso Villa Bardini.
Chiaramente questa affermazione non ha alcuna evidenza storica e non pretende nemmeno di averla, però nel camminare attraverso gli spazi espositivi della villa – che riaprono per questa occasione dopo la lunga chiusura a causa della pandemia – questa sensazione di operosità si percepisce in maniera vivida e riesce a offuscare qualsiasi altro input. Perchè Galileo Chini, nato a Firenze nel 1873 e morto nello stesso luogo nel 1956, è stato uno dei maggiori esponenti a livello europeo dell’arte fin de siècle. Le sue specialità? La risposta a questa domanda va letta con ammirazione, senza qualunquismo, ed è la seguente: un po’ tutte.
Pittore, illustratore, decoratore, grafico, ceramista. Queste doti sono perfettamente visibili all’interno dell’esposizione: i suoi quadri e i suoi affreschi, i suoi bozzetti preparatori, le illustrazioni e la cartellonistica per eventi culturali e manifestazioni che colpiscono per la loro espressività. E poi, soprattutto, i vasi e le terrecotte, finissimi manufatti considerati tra i capolavori del suo tempo, che accompagnano i fruitori dall’inizio alla fine della visita, rivelandosi il filo rosso dell’intera produzione di Chini.
È la poliedricità la caratteristica che spicca su tutte, quella capacità di adattamento che fa venire voglia di mettere in disparte le nozioni tecniche e le disquisizioni sull’arte. Si potrebbe scrivere infatti di Liberty e di come il nostro sia stato tra i pionieri di questo stile in Italia, oppure ancora si potrebbero citare movimenti come il Secessionismo, il Modernismo, il Simbolismo, tutti avvicinabili a Chini al pari di artisti altisonanti dell’epoca come Klimt, Rodin, Segantini, Khnopff. Però queste chiacchiere porterebbero lontano dall’idea principale che dona la mostra, ovvero quella che fa di Chini una figura estremamente contemporanea, un artista che si barcamena nella sua quotidianità. Il suo spaziare, a cavallo tra Ottocento e Novecento, fra tutti questi aspetti diversi, lo rende un personaggio difficilmente etichettabile e poco lineare.
L’esposizione infatti – curata da Fabio Benzi e promossa da Fondazione CR Firenze e da Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron – affianca ad oltre 200 opere di Chini pezzi di artisti a lui contemporanei. Questa modalità permette di intessere un dialogo serrato tra Chini, la sua epoca e i suoi svariati contesti: Firenze e la cultura locale, la Biennale di Venezia, il periodo che trascorse in Siam alla corte del re per affrescare la Sala del Trono. Il risultato è un’evidente contaminazione incrociata in cui Chini viene celebrato – con le parole di Luigi Salvadori (Presidente di Fondazione CR Firenze) e Jacopo Speranza (Presidente della Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron) – come “un grande artista fiorentino, che ha saputo distinguersi nel panorama internazionale attingendo e allo stesso tempo contaminando l’epoca artistica nella quale si è affermato”.