L’abbiamo conosciuta e apprezzata attraverso i film di Ferzan Ozpetek, da “Harem Suare” passando per “Le fate ignoranti”, da “La finestra di fronte” a “Saturno contro”, da “Un giorno perfetto” fino a “Rosso Istanbul”. Ma noi fiorentini abbiamo anche avuto la fortuna di poterla vedere dal vivo, da vicino grazie alla Compagnia Pupi e Fresedde che, prima con “L’Ultimo Harem”, per più di dieci stagioni consecutive, e successivamente con “La bastarda di Istanbul”, l’hanno portata sul palco del Teatro di Rifredi. Da qualche anno Serra Yilmaz ha eletto Firenze a sua seconda casa.

Come ha vissuto questo anno di lockdown dal punto di vista personale e lavorativo? Non ha potuto calcare i palcoscenici dei teatri, ha invece preso parte a qualche pellicola?

“Dal punto di vista personale me ne sono fatta una ragione, il primo momento è stato di sconforto e preoccupazione per non poter lavorare. In una telefonata mia figlia, che abita in Australia, mi disse: “Più ti preoccupi meno dormi, meno dormi meno forte sarà la tua immunità, anche se ti preoccupi non cambia niente. Stai tranquilla”. È stato un consiglio molto saggio, imparo molto da mia figlia. Mi sono detta vediamo che cosa succede. Mi sento molto fortunata perché vivo in un palazzo dove ci conosciamo tutti e ci siamo frequentati, mantenendo la distanza, in una grande terrazza e in giardino, e con un amico abbiamo cenato sempre insieme e ogni sera ci siamo guardati una serie tv o un film. Non ho lavorato, la mia tournée del “Don Chisciotte” con Alessio Boni si è interrotta il 23 febbraio. E non ripartirà prima di gennaio 2022. Ho però avuto due collaborazioni con il Teatro di Rifredi, “Occidente” con Ciro Masella, piece di Remi De Vos, e un laboratorio su un romanzo argentino che il regista Angelo Savelli aveva ridotto. Lavori che mi hanno permesso di tenermi su di morale”.

Qual è il suo rapporto con l’Italia e con Firenze in particolare?

“Sono cresciuta bilingue con il francese. Quando avevo undici anni è arrivata nel mio quartiere una famiglia con padre di Scarperia e madre francese con tantissimi figli. Io sono figlia unica e questa famiglia, che arrivava da Strasburgo, così numerosa era molto affascinante per me. Mi sono integrata subito con loro e alla fine parlavo più o meno italiano per averlo sentito così a lungo anche se tra noi comunicavamo in francese. I miei primi viaggi in Italia sono stati a Firenze e nel Mugello e quindi per me l’Italia per tantissimi anni è stata sinonimo di Firenze e Toscana per i quali ho un particolare amore. E quando quattro anni fa ho deciso di vivere in Italia, abitavo tra Istanbul e Parigi, mi sono posta la domanda se andare a Roma o a Firenze, e alla fine ho scelto Firenze che è veramente la città dove mi sento a casa, e sono molto felice della mia scelta”.

Cosa c’è di Firenze che le ricorda Istanbul e che cosa invece le manca terribilmente della città sul Bosforo?

“Non c’è niente di Firenze che mi ricorda Istanbul, Firenze mi ricorda più Parigi, ad esempio piazza d’Azeglio. Di Istanbul mi manca il Bosforo perché la presenza del mare è essenziale, anche se è una città così gigantesca, quasi venti milioni di abitanti con periferie sconfinate, che si possono incontrare persone che non hanno mai visto il mare. E anche l’apertura mentale della persone: i fiorentini non hanno le regole d’ospitalità che abbiano noi, ad esempio frequento tantissimi fiorentini, ma non sono mai stata invitata a casa loro, noi invece apriamo subito la casa e si mangia insieme, è un’altra mentalità”.

È pro o contro i vaccini e, nello specifico, si farà il vaccino anti-Covid?

“Sono pro-vaccini, e lo farei anche oggi se ne trovassi uno, sta andando troppo lentamente la vaccinazione in Italia. In Turchia il mio turno era già arrivato, ho pensato se andare a farmi il vaccino a Istanbul, bastava rimanerci per un mese, tanto passa tra la prima dose e la seconda. Ma sarebbe stato il vaccino cinese che non è ancora riconosciuto in Europa, quindi ho deciso di avere pazienza, ma non sono molto ottimista, e non ne usciremo mai se non ci sarà una campagna di vaccinazione intensa”.

Come si immagina il futuro prossimo del teatro nostrano? Che ripercussioni ci saranno secondo lei sui teatri e soprattutto per gli attori?

“Il teatro andrà comunque avanti anche se purtroppo devo constatare che in Italia c’è molta l’indifferenza verso l’arte, che è una cosa difficile da spiegarsi perché l’Italia è la culla della cultura. Quando però si riducono gli artisti a livello di semplice ‘divertimento’, che comunque ci deve essere non lo contesto, questi sono i risultati. Non capisco perché le chiese possono essere aperte, si può fare shopping nei grandi magazzini, si aprono e si chiudono i ristoranti, i ragazzi si assembrano nelle piazze… ma si proibisce il cinema e il teatro, dove è molto facile conformarsi alle regole, prendere la temperatura, tenere la mascherine, distanziarsi. Non credo che il teatro possa essere fatto online, si possono fare delle letture, recitare poesie, ma una pièce intera recitata è qualcosa di totalmente contrario e lontano dalla sua natura, la particolarità del teatro è poter sentire il soffio di ogni attore e assistere all’irripetibilità dell’evento perché ogni sera ci sarà una nuova rappresentazione e nuovi piccoli incidenti che la renderanno unica. Io devo sentire il respiro del pubblico e la platea deve sentire il nostro sul palco”.