Ormai conosciuto agitatore culturale fiorentino e componente prezioso de La Chute Associazione Culturale, con la quale Lungarno collabora da tempo, Massimiliano (Max) Larocca torna con un nuovo album chiamato “EXIT|ENFER”, che verrà presentato live in uno showcase acustico alla Libreria Libraccio di Firenze il giorno dell’uscita (18 ottobre) e nel release party ufficiale con big band il 19 ottobre nella sua “tana” al Circolo Arci Progresso. Non potevamo farci scappare l’occasione per fargli qualche domandina
Sono passati tre anni dal tuo “Un mistero di sogni avverati”, riuscito e fortunato omaggio ai Canti Orfici di Dino Campana. Cosa è successo nel frattempo?
È successo che dall’uscita del disco su Campana sono stato impegnatissimo con i concerti, forse come mai in precedenza.
Ne abbiamo fatti circa 50 con puntate anche estere a Barcellona e Bruxelles.
È un progetto che ha avuto ottimi riscontri, a molti livelli e in ambiti molto diversi tra loro.
Nel contempo il progetto di Exit|Enfer si è fatto largo dentro la mia testa, non appena si sono affacciate le prime idee per nuove canzoni.
Ci aspettavamo un album pomposo e invece siamo rimasti piacevolmente colpiti da un lavoro minimale e delicato. Perché questa scelta?
È stata una scelta dettata innanzitutto dai temi del disco, che sono perlopiù intimi e personali e raccontano di un lungo viaggio “fuori” da un tunnel personale di sofferenza e di perdite.
Ci sono inoltre canzoni in cui racconto storie di pura fiction che scavano a fondo nella psicologia e nell’identità dei personaggi.
Con Hugo Race – il produttore artistico del progetto – volevamo quindi restituire questa “confidenza” con l’ascoltatore anche in musica mantenendo però una chiave e un’idea molto moderna di canzone d’autore.
La nostra idea produttiva era quella di una sorta di “crooner” contemporaneo, un possibile incontro tra Tenco e Scott Walker, per capirsi ancora meglio.
Dentro “EXIT|ENFER” una valanga di collaborazioni illustri, a partire dal produttore dell’album Hugo Race (Nick Cave & The Bad Seeds / True Spirit / Dirtmusic). Parlaci un po’ di loro…
Non le considererei collaborazioni standard o semplici apparizioni.
In primis con Hugo che di fatto ha dato buona parte delle coordinate artistiche del progetto oltre a idee di arrangiamento decisive.
Con lui si è parlato a lungo dei testi, del concept dell’album, tanto che personalmente lo considero per una larga parte anche un “suo” disco.
Gli altri primattori – Howe Gelb, Enrico Gabrielli, Don Antonio – sono stati coinvolti perché a nostro avviso erano i migliori artisti sulla piazza capaci di capire e restituire quel disegno generale che io e Hugo abbiamo tracciato all’inizio del progetto.
Stiamo parlando di linguaggi musicali ed Howe ad esempio è uno che ne ha creati molti, e sempre diversi.
Un percorso artistico decisamente atipico il tuo, rispetto a quello che vediamo ed ascoltiamo oggi in Italia. Cosa ne pensi della scena nostrana?
Il mio percorso artistico è sempre stato dettato da due impulsi principali: la storia che avevo da raccontare e le persone che potevano condividere questa storia con me se non aiutarmi ad esprimerla al meglio.
Sono stato fortunato ad avere sempre avuto entrambe le possibilità e a lavorare con molti tra gli artisti che amo e stimo di più – Nada, ad esempio, oltre a chi è coinvolto in questo ultimo disco.
Riguardo alla scena: non ne vedo una ma anzi ne vedo tante, tutte molto piccole e autoreferenziate.
Mi pare di vedere soprattutto una gran confusione di categorie e di appartenenze, se la cosiddetta musica “indie” italiana ragiona ed opera esattamente come la peggior musica commerciale.
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