L’ultimo report FAO ci dice che è in corso un’erosione genetica che sta minacciando un gran numero di varietà di colture alimentari, più del 75% della biodiversità agricola è scomparsa nel corso del XX secolo.
Tra le cause, troviamo i cambiamenti climatici e l’omogeneizzazione delle coltivazioni legata al sistema alimentare industriale.
Una risposta a questo problema ce la dà “Rete Semi Rurali”, una rete no profit che comprende 42 associazioni. Insieme, promuovono iniziative volte al sostegno della biodiversità e dell’agricoltura contadina, opponendosi alla monocoltura intensiva e alle colture geneticamente modificate. La Rete organizza incontri formativi, fa attività istituzionale di ricerca e mette a disposizione nel suo circuito i semi rurali.
Come funziona il circuito
Ogni agricoltore che adotta i semi rurali ha una sua strategia per distribuirne i prodotti finiti: dai gruppi di acquisto, ai GAS, dalla vendita diretta o in negozi specializzati, ai mercatini. Da aprile ha aperto a Scandicci la “Casa dell’Agrobiodiversità”, uno spazio dove agronomi – e non solo – lavorano su progetti europei, nazionali e regionali. Qui si trovano anche un’area meeting, una biblioteca di settore e un laboratorio dedicato alla pulizia e alla gestione dei semi rurali.
“Il nostro lavoro – ci dice il direttore dell’associazione Riccardo Bocci – non è tanto ‘conservare’, ma riportare la diversità dentro i sistemi agricoli. Sensibilizzare gli agricoltori a coltivare delle popolazioni (degli insiemi di più cose dentro lo stesso campo) creando diversità genetica”.
La diversità dal punto di vista agronomico è importante: in sistemi agricoli biologici o biodinamici non è possibile utilizzare la chimica, e rendere l’ambiente uniforme significa esporlo a rischi perché, non potendo appunto dare erbicidi o pesticidi, un singolo insetto può attaccare l’intera produzione.
Un nuovo modello agricolo
“Se nel campo invece ho una popolazione – ci spiega Bocci– ci sarà sempre qualche pianta che resisterà agli insetti”. Quando c’è un problema in una coltivazione uniforme, lo si studia e si trova una varietà più resistente che verrà poi commercializzata dalla grande industria. “Invece se, come la nostra strategia propone, hai diversità in campo, ti rendi più autonomo dal modello industriale che hai intorno – continua Bocci – perché le popolazioni che vengono coltivate sono in grado, nel tempo, di adattarsi ai cambiamenti climatici in atto. Per noi i semi rurali sono una risorsa per costruire un nuovo modello agricolo. Riportano l’innovazione in campo, restituiscono ‘il potere’ agli agricoltori sui semi che coltivano, sono uno strumento che può rafforzare l’intero sistema”.
La chiave per far fronte all’emergenza alimentare e ai cambiamenti climatici sembrerebbe quindi risiedere nella biodiversità e nella diversificazione dei nostri sistemi agricoli.