di Elena Reni
Per chi prova interesse per l’arte e l’ecologia, fare due chiacchiere con Giovanni Erbabianca, artista autodidatta ed eco-designer, è un’esperienza coinvolgente. Sistemando i mille oggetti sparsi nel suo laboratorio a due passi da piazza Tasso, Giovanni racconta la genesi della sua attività nata quasi per caso. Quando, in gioventù, percorreva in bicicletta le strade cittadine per raggiungere la bottega dove lavorava come parrucchiere, il suo sguardo veniva sempre più spesso rapito dai tanti materiali abbandonati vicino ai cassonetti, come corpi senza vita. Per lui quei “rifiuti” non sono altro che oggetti capaci di trasmettere ancora energie, come in una visione michelangiolesca, e per questo “degni di ricevere una seconda opportunità”.
Così, dopo vari tentativi, le bottiglie di plastica sono presto diventate una scultura variopinta, le ruote di biciclette si trasformano in singolari lampadari…
La sua sperimentazione inizia realizzando sculture luminose e, nei primi anni del 2000 apre il suo atelier Fiori di luce, prima in via Romana poi in Borgo San Frediano. La cura del dettaglio e dell’ambiente in cui l’opera andrà a collocarsi hanno presto portato Erbabianca ad approfondire i suoi studi fino a sentire l’esigenza di creare oggetti di design seguendo delle vere e proprie linee guida: partendo dalla casualità, l’artista trova nella geometria e nell’architettura la giusta chiave di lettura per la sua attività, portatrice di un messaggio di speranza.
“Vorrei contribuire a gettare le basi per un avvenire meno impattante; da una massa di rottami anche di difficile smaltimento può infatti nascere una vera e propria opera di design, preservando la materia prima e facendola rientrare nel proprio ciclo vitale”, afferma Erbabianca, fiducioso che il suo operato possa veicolare messaggi significativi in tema di ecologia e di economia circolare.