Nei sogni a volte capita di ritrovarsi in scenari diversi e lontanissimi tra loro, che cambiano in poche frazioni di secondo senza che questo renda meno credibile l’esperienza. Qualcosa di simile accade quando si entra in contatto con i Mars Era.
Parti pensando che riceverai suggestioni astrofisiche e scopri che, forse più del pianeta o della divinità, è Campo di Marte a qualificare il loro nome. Raggiungi il loro quartier generale attraversando campi sportivi fangosi e deserti, recinzioni dalle quali abbaiano cani per nulla rassicuranti – uno scenario alla Stephen King – ed entri invece in una dimensione onirica, di sogno lucido, di grande narrazione fiabesca, che i loro testi rendono vivida.
I Mars Era sono Davide, Michelangelo, Tommaso e Leonardo, ovvero due architetti, un designer e un antropologo uniti dal 2014 in un progetto per il quale “non c’è giorno che non ci mandiamo un messaggio o che non ci sia da organizzare qualcosa”.
Mi raccontano del nuovo disco in fase di scrittura mentre si accingono a farmi sentire O.B.E. (Out of body experience, ndr), uno dei brani chiave della grande storia che racconteranno. “È la storia di un viaggio extra corporeo, di un personaggio senza nome che, dopo un’esperienza di meditazione, si ritrova fuori da se stesso, in un sogno lucido che lo porterà ad affrontare alcune prove, metafora delle sue difficoltà”. L’inizio del brano è come un mantra e ti coinvolge in una dimensione onirica che ha dell’incubo nelle cupe tonalità di un’accordatura in drop.
Ne esce un sound potente e viscerale che li colloca tra l’alternative e lo stoner, purché si ragioni “senza chiusure e senza etichette”; anche perché gli assoli di Michelangelo, “lo sciamano del gruppo” (ridono), giocano su tonalità maggiori e lasciano intravedere una luce sull’epilogo di questa grande favola, immaginata come un racconto in prosa che supera la tradizionale espressione in versi della canzone. Il prossimo brano si intitolerà Cyclone e parlerà di un pescatore che cerca di tornare a riva per dire qualcosa di importante. Noi siamo tutt’orecchi.
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