Il Festival Middle East Now 2017 ha portato a Firenze la pellicola del regista israeliano Udi Aloni, “Junction 48”, già premiata l’anno scorso dal pubblico alla Berlinale.
L’introduzione del regista, prima della proiezione, si è concentrata sulla figura di Juliano Mer-Khamis, israeliano e palestinese, direttore del “Teatro della Libertà” di Jenin (Cisgiordania), uomo che l’ha ispirato e trasformato, avendogli insegnato che si può essere allo stesso tempo degli intellettuali radicali e “popolari” e che l’arte di alto livello è una forma di resistenza.
Siamo in Israele, a Lod, in arabo, o Lidda in ebraico, una città composta per lo più da palestinesi, quasi tutti cacciati dopo l’invasione israeliana nel 1948. In questa città-ghetto, dove è stato costruito un muro per separare i quartieri arabi da quelli ebrei, sotto il vigile controllo di una polizia intransigente, vive un ragazzo palestinese , Kareem, che fa rap. Dopo l’inaspettata morte del padre musicista in un incidente d’auto, il giovane rapper, sempre più spronato dalla bella e seria fidanzata Manar, inizia ad impegnarsi davvero nella sua produzione musicale. Insieme al fratello e ad un altro amico, porta le sue canzoni di esplicita denuncia verso le condizioni di vita dei palestinesi in Israele all’interno di locali frequentati da nazionalisti israeliani. Kareem è diviso tra la speranza di successo e la sua identità palestinese. La prima volta canta in ebraico ma poi, soprattutto grazie alla voce di Manar che si unisce alla sua all’interno dei testi rap, sconfigge la paura e inizia ad essere molto popolare in tutto lo stato, cantando le sue canzoni di denuncia in lingua araba.
Kareem è interpretato da Tamer Nafar, il vero e proprio leader del famoso gruppo hip hop DAM. Udi Aloni dopo aver incontrato il giovanissimo rapper e aver ascoltato la sua musica che definisce: “veramente palestinese ma con una prospettiva universale”, capisce di poter iniziare il film insieme a lui soltanto quando scopre il suo lato fragile. Tamer può iniziare a fare il film soltanto dopo aver ritrovato le sue debolezze, quelle che l’hanno spinto a esprimersi attraverso la musica e l’hanno aiutato a diventare un rapper di grande successo.
Il tanto discusso conflitto israelo-palestinese viene portato sullo schermo attraverso gli occhi della generazione dei giovani arabi che, in quella che è anche la loro patria vivono quotidianamente una realtà di discriminazione.
La voce dei due cantanti nella canzone, colonna sonora del film, Ya reit (If Only), invoca un cambiamento, la speranza di una pace in uno Stato in cui convivono due nazionalità, ma una di esse lotta ogni giorno per essere riconosciuta. Il bello del film sta proprio in questo: è un film che denuncia, che fa riflettere, ma è per tutti, senza “discriminazione” intellettuale.