Da venerdì 25 settembre a domenica 27 settembre lo Spazio Alfieri si tinge bianco e rosso per ospitare il Festival del Cinema d’Indonesia, dopo la rassegna di Udine l’appuntamento più importante a livello nazionale di indagine sul cinema indonesiano approda a Firenze.

Ho intervistato Jacopo Cappuccio, inventore e anima dell’iniziativa, personaggio che esce totalmente dagli schemi del “promotore culturale” al quale siamo ormai assuefatti. Passione viscerale, nessuna necessità di stupire o stordire l’interlocutore, voglia di coinvolgere tutti. Insomma, in lui qualità che non troviamo più molto spesso, abbandonate dagli odierni manager culturali ben vestiti, padroni di vocabolari aulici per condire scarsi contenuti, sempre a favore di camera e di obiettivo, che spostano pedine e fondi ma sfuggono viscidi dai creditori e che di passione e di mani sporche ne sanno ben poco.

 

A settembre, di ritorno dalle ferie, non é insolito sentir parlare di Indonesia. Ma il festival del cinema d’Indonesia va oltre le cartoline e le immagini da copertina per raccontarci altro. Ecco, cosa ci racconta?

Al festival il film The Mirror Never Lies abilmente sceneggiato dal regista Dirmawan Hatta, potrebbe fare la gioia di qualsiasi agenzia turistica per la stravolgente bellezza ed immensità delle immagini, tanto da meritare il patrocinio del WWF Nature. Ovviamente l’aspetto vacanziero che può suscitare sono solo una parte di questa pellicola che mostra la vita dei cosiddetti “Zingari di mare”.  

Ma oltre gli scherzi, il Festival racconta un’Indonesia che non è quella che viene generalmente citata, ossia l’Indonesia che si riduce a Bali e i suoi dintorni. Potremmo individuare un filo conduttore (ve ne sono almeno due), determinato dalla presenza (anche incombenza) della Città di Jakarta: la capitale indonesiana che vanta un numero di abitanti stimato attorno ai venti milioni. Non si tratta di giudizi particolarmente favorevoli, poiché Jakarta viene considerata come invivibile, piena di smog, difficilmente percorribile se non in macchina ma, al contempo, questa enorme realtà rimane il cuore dell’Indonesia, capace comunque, nel bene e spesso anche nel male, di attrarre i destini delle persone. In questo senso potrà essere esempio la proiezione di Buland di Atas Kuburan (in anteprima europea al Festival ed uscito nei cinema di Jakarta appena lo scorso aprile), firmato dal talentoso Edo Sitanggang che sarà presente in sala. Anche il divertente e leggero Selamat Malam, Pagi è indissolubilmente legato a Jakarta, dove si sviluppano le storie volutamente parallele ed incrociate di tre donne assai differenti tra loro. Persino il film Romeo and Juliet è in qualche modo riferito a Jakarta, di cui porta sul grande schermo gli aspetti peggiori delle tifoserie calcistiche. Non bisogna dimenticare che il Festival ha il saluto bene augurale del Presidente dell’Inter Eric Thohir (anche se poi non è stato possibile inserire tempestivamente un film della sua scuderia).

Negli ultimi 10 anni, complici alcune pellicole che hanno fatto da traino, si é parlato tanto di Bollywood. C’è una connessione tra il cinema indonesiano è quello indiano o sono proprio due scuole diverse?

Si tratta di due forme di cinematografia di cui potranno parlare molto meglio di me i due registi presenti: Dirmawan Hatta e Edo Sitanggang. Posso però dire che si tratta di due generi differenti. Pur presentando alcuni aspetti simili, il cinema indiano tende alla spettacolarità, al colore, al canto e, quindi, al musical. Quello indonesiano appare trovare il suo punto di grazia nel cinema che definiremmo “per ragazzi”, capace di far rivivere allo spettatore quel medesimo clima – di leggerezza, scoperta e promessa – che si avvertiva nettamente nelle narrazioni di Mark Twain. Inoltre la produzione cinematografica indonesiana è molto giovane, degli anni Novanta, poiché precedentemente l’apertura delle frontiere al cinema straniero ha compromesso la produzione locale. Con estrema rapidità l’Indonesia ha saputo colmare questo gap schierando una generazione di registi pieni di talento oltre che fortemente attenti a conservare l’identità nazionale.

Consigliaci 5 titoli fondamentali per farci un’idea del cinema indonesiano.

Trascurando i primi film, che rivestono interesse soltanto per gli appassionati, direi che i cinque titoli devono seguire i generi amati in Indonesia, in cui ha ancora notevole peso il genere del terrore/paranormale/horror. Non può trascurarsi neanche il filone, tipico del mondo asiatico, delle arti marziali. A questo proposito ricordo che in Indonesia si pratica il pencak silat, arte marziale che è stata anche insegnata ai prossimi cavalieri jedi del prossimo episodio della infinita saga di Guerre Stellari. Non possono dimenticarsi, poi, i giovani registi. Ne vengono fuori i seguenti titoli: Pintu Terlarang del regista Joko Anwar, recentemente applaudito a Venezia, con la partecipazione dell’attore Tio Pakusadewo; The Raid capitoli 1 e 2; Opera Jawa del Maestro del cinema indonesiano Garin Nugroho, con cui ha lavorato ed è cresciuto il regista Dirmawan Hatta; Optatissimus, e naturalmente tutti i titoli presenti al Festival.

Possiamo organizzare con te un festival del cinema italiano in Indonesia? Ci porti? L’obiettivo a cui ho iniziato a lavorare da un paio di anni e proprio questo. Certo che si parte!

 

di Riccardo Sgamato