Non è la regola, ma capita spesso di affezionarsi a quelle cose che già sai di non poter ottenere. Non so di preciso cosa possa accadere alla mente di un essere umano. Forse il desiderio di ottenere una cosa vista come irraggiungibile innesca una serie di fantasie e speranze che poi, in caso di risultato clamorosamente portato a casa, rafforzano in maniera spropositata il proprio ego. O forse è tutto molto più semplice e irrazionale.
Non so cosa accada, o meglio, sia accaduto con i Brad. Per un over 30 e fan di prima ora dei Pearl Jam, che quindi facendo due calcoli ti si presentavano precisi quando eri in piena fase adolescenziale nel momento esatto in cui si rafforza la formazione musicale di un individuo, accadeva che in quell’istante si andava contemporaneamente a ritroso e in parallelo per capirci qualcosa o in totale segno di devozione verso la band.
E, onestamente, se i cinque di Seattle hanno avuto un merito, ma ne hanno molti di più, è stato quello di innescare in parte dei loro fan una catena di ascolti che li hanno portati altrove, per la loro strada. Adesso quell’over 30 è probabile che ascolti tutt’altro e che, se oggi uscisse “Ten”, non ci farebbe neanche caso. Non fosse altro per i dati anagrafici. Ma senza fare acrobazie non richieste e buttarsi nel pregresso, che non ne abbiamo lo spazio – ma insomma, se attorno ai 14/15 anni poi ti metti ad ascoltare The Clash, The Who, The Beatles e centinaia di altre cose a quei ragazzi ormai uomini un po’ di riconoscenza è dovuta – anche i progetti paralleli e collaborazioni, che sono stati molti e molte, ne hanno avuta di importanza. Uno ai quali era più facile affezionarsi di altri erano appunto i Brad.
Perché c’era qualcosa che ancora non avevi incontrato. C’erano tracce di soul, c’era il chitarrista dei Pearl Jam, Stone Gossard, ed un cantante straordinario, Shawn Smith, che a proposito di parallelo e pregresso era in un paio di band del giro, Satchel e Pigeonhead.
E c’erano delle melodie che non erano solo rock. O grunge, insomma. C’era un disco, “Shame”, tutto bellissimo e con un singolo, ‘Buttercup’ che veniva voglia di ascoltarlo a nastro. Quindi ti ritrovavi con i tuoi amici, scambiavi o duplicavi la cassetta – o andavi dietro Piazza Stazione angolo Via Faenza a noleggiare il CD (rito ormai preistorico) che puntualmente masterizzavi con fotocopia della copertina in bianco e nero – e per un periodo tra quei ragazzi dopo il ciao, come stai? la risposta era bene, oh, ma i Brad li conosci?.
In tv non li passavano, in radio neanche. Quindi erano una sorta di segreto nascosto che non vedevi l’ora di condividere con qualche altro infelice. Perché se a quell’età non sei infelice non ti stai godendo la tua adolescenza e non ci sarebbero stati gruppi che ti venivano in soccorso dicendoti ehi, tranquillo, anche io sto male. (Ah, ottimo).
Leggevi le interviste e sapevi che non li avresti mai visti dal vivo. È un progetto parallelo, dicevano. Sarà difficile per noi organizzare un tour al di fuori dagli Stati Uniti. E infatti, sino ad oggi non si sono visti. Nel mezzo ci sono stati altri cinque album, facciam quattro e mezzo che uno è una sorta di inediti rimasti nei loro cassetti ed in quelli dei Satchel, per oltre venti anni dalla prima volta. Alla faccia del progetto parallelo. Non sappiamo se il nostro ego ne uscirà rafforzato. Non crediamo. Sarà sicuramente una bella serata, aspetteremo ‘Buttercup’ e ‘The Day Brings’ ed è probabile che qualche sguardo si incroci e ci si riconosca mentre attendevamo il nostro turno per noleggiare un CD oh, ma i Brad li conosci?