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Time Capsule, vent’anni di teatro e un appuntamento col futuro

By Erica Fialà

December 15, 2025

Time Capsule, la nuova performance con cui la compagnia fiorentina Sotterraneo celebra vent’anni di lavoro, andrà in scena venerdì 19 dicembre al Teatro Cantiere Florida, con replica sabato 20. Non si tratta di uno spettacolo celebrativo, né di un’antologia dei “pezzi migliori” ma di un incontro con il tempo trascorso, con le parole lasciate dal pubblico e con ciò che nel frattempo è cambiato — o non è cambiato affatto: un compleanno teatrale che diventa occasione per guardarsi indietro senza nostalgia e avanti senza illusioni.

Una capsula del tempo e la lunga ombra del pensiero apocalittico. Frammenti, memoria, risonanze

Nel 2015 Sotterraneo festeggiava dieci anni di attività con un gesto semplice e spiazzante: una domanda consegnata al pubblico, scritta su cartoline poi murate in una parete del Teatro Studio di Scandicci: «L’Occidente sopravvivrà da qui al 2025?». Dieci anni dopo quel futuro è arrivato, le cartoline sono state riaperte e da quel gesto, insieme intimo e collettivo, è nato Time Capsule. Riaprire oggi una capsula significa confrontarsi non solo con le fantasie e le paure del 2015 ma anche con la sorprendente precisione di molte previsioni. Le cartoline parlavano di crisi, catastrofi, futuro fragile e oggi quelle visioni suonano ancora più dolorosamente concrete.  “Questo spettacolo lavora su una sensazione di continuità e sulla percezione di vivere ancora dentro una lunga ombra, quella di un pensiero apocalittico che attraversa la nostra epoca e che il teatro può provare, se non a dissipare, almeno a interrogare”, spiega Daniele Villa. La drammaturgia dello spettacolo è costruita per frammenti, accostamenti improvvisi, ironia e cortocircuiti, secondo la logica del lavoro di Sotterraneo. Il filo che tiene insieme tutto però non è cronologico ma emotivo e simbolico: le cartoline del pubblico diventano il vero motore della scena perché non sono un semplice ricordo ma una voce che entra in dialogo con l’immaginario della compagnia. Due archivi — quello degli artisti e quello degli spettatori — che per la prima volta si parlano apertamente: ne nasce una serata che è insieme spettacolo e festa, memoria condivisa e presente vivo.

Un teatro che si fa comunità: il pubblico come archivio vivente

Da sempre Sotterraneo costruisce il proprio lavoro attraverso il dialogo stretto con il pubblico, chiamato non solo a guardare ma a prendere parte attiva nell’esperienza teatrale. In Time Capsule questa relazione diventa esplicita e strutturale: lo spettacolo esiste perché, dieci anni fa, qualcuno ha scritto una cartolina e ha scelto di consegnarla al futuro. Il baricentro della performance si sposta così dalla compagnia all’incontro — con chi c’era allora, con chi si è aggiunto nel tempo, con chi arriva oggi per la prima volta. Non è un gesto di autocelebrazione, ma il riconoscimento di un percorso condiviso con una comunità di spettatori. Un’idea di teatro di ricerca inteso come esercizio collettivo di attenzione al presente: uno spazio in cui provare a leggere la contemporaneità, intuire ciò che si muove intorno a noi e attraversare le trasformazioni personali e storiche, fermandosi a guardare e riflettere insieme.

DJ Show – Twentysomething Edition eil piacere del pensiero cognitivo complesso

Domenica 21 dicembre alle 19 sempre al Teatro Cantiere Florida ci sarà l’appuntamento conclusivo di questa tre giorni di festeggiamenti di Sotterraneo con DJ Show – Twentysomething Edition, un dj set da club, con testi e materiali performativi remixati dal vivo dove il pubblico starà in piedi, coinvolto, chiamato a scegliere se ballare, ascoltare, riflettere — o fare tutte e tre le cose insieme. Anche in questa occasione il passato non viene conservato ma rimesso in tensione e forse è proprio questo il gesto più radicale di Sotterraneo: continuare a darsi appuntamento nel futuro, trasformando archivi e memorie in esperienze condivise, senza sapere esattamente cosa ci si troverà dentro — se non la possibilità di rimettersi in movimento.

Il futuro come domanda aperta e una breve intervista a Daniele Villa

Time Capsule non si presenta come un gesto conclusivo né come l’archiviazione ordinata di vent’anni di percorso ma ci espone quella storia, la riattiva, la rimette in circolazione affidandola ancora una volta allo sguardo del pubblico. Come ogni autentica capsula del tempo questa nuova produzione di Sotterraneo non ha la funzione di preservare il passato quanto di interrogare il presente, riflettere su cosa sta accadendo adesso e quante previsioni erano centrate allora. Abbiamo posto qualche domanda a Daniele Villa, regista, drammaturgo e fondatore di Teatro Sotterraneo per i lettori di Lungarno.

​​ Time Capsule mette in scena una riflessione sul tempo biografico e sul tempo storico. In che modo questa nuova performance rilegge la storia di Sotterraneo?

Il tempo è sempre stato una nostra ossessione, ma qui esce dai confini della scena. Time Capsule nasce da un appuntamento reale che ci siamo dati con il pubblico nel 2015. Per i dieci anni della compagnia avevamo raccolto alcune cartoline con una domanda semplice e vertiginosa – nel 2025 l’Occidente sarà sopravvissuto? – Quelle risposte sono rimaste murate in una parete del Teatro Studio di Scandicci, con la promessa di riaprirle dieci anni dopo. Oggi quella promessa viene mantenuta al Teatro Cantiere Florida e le cartoline diventano il motore di una performance che intreccia materiali di repertorio, scene inedite e le visioni che il pubblico ci aveva affidato allora. Non è una rilettura cronologica dei nostri vent’anni, ma un attraversamento per risonanze, per immagini e pensieri che tornano a parlare nel presente.

Riaprire oggi quella capsula significa anche confrontarsi con ciò che avete previsto – o non previsto – sull’Occidente, che effetto fa?

Fa un certo effetto constatare una continuità inquietante. Nel 2015 c’era già un pensiero apocalittico molto diffuso, e purtroppo gli eventi successivi non l’hanno smentito. Rileggere oggi quelle cartoline dà la sensazione di previsioni fin troppo centrate, non nei dettagli ma nel clima generale. Come compagnia abbiamo sempre cercato di smontare la narrazione dell’Apocalisse, perché rischia di diventare una forma di intrattenimento che assolve e immobilizza ma è innegabile che nel 2015 avevamo buone ragioni per parlarne, e nel 2025, se possibile, ne abbiamo ancora di più.

Come avete lavorato sul montaggio di vent’anni di materiali senza trasformare lo spettacolo in un’operazione nostalgica?

Le cartoline dovevano essere un vero motore scenico, non un pretesto. Abbiamo cercato risonanze tra ciò che il pubblico aveva scritto e i materiali del nostro repertorio, mettendo in dialogo due archivi che fino a oggi non si erano mai parlati apertamente: quello della compagnia e quello degli spettatori. Non ci interessava un archivio ordinato, ma un montaggio vivo, capace di far emergere cortocircuiti di senso. Time Capsule nasce proprio da questo incontro tardivo.

Il pubblico è spesso un co-autore del vostro lavoro e qui lo è in modo esplicito: come cambia il rapporto con la platea?

Questa serata è a metà tra spettacolo e festa: è un compleanno. Il fulcro non è celebrare la compagnia, ma l’esserci dati appuntamento con il pubblico, con chi c’era nel 2015, con chi allora era bambino e con chi è arrivato dopo. È un incontro nel tempo e nell’immaginario, una comunità temporanea che si riconosce in un percorso condiviso con la quale potersi dire: c’eravamo, ci siamo dati appuntamento, siamo ancora qui.

Il vostro teatro tiene insieme intrattenimento e pensiero complesso, come accade anche in DJ Show . Vi riconoscete in una genealogia precisa?

Non è mai stata una strategia, ma un tratto genetico del nostro fare teatro: tenere insieme divertimento e ferocia critica, leggerezza e pensiero complesso, facendo convivere questi livelli in un’unica esperienza. Siamo cresciuti all’interno di quella che Renato Palazzi ha definito la “generazione T”, un’onda di gruppi che, pur conoscendo a fondo la tradizione novecentesca, cercava linguaggi autonomi e forme nuove di relazione con il pubblico, una vera costellazione di compagnie – dagli Omini a Babilonia Teatri passando per Muse – alcune ancora attive, altre profondamente trasformate o scomparse. Una selezione naturale ha fatto il suo corso, ma quella stagione è stata decisiva proprio perché fondata sul confronto tra pari: un terreno comune in cui l’autonomia dei linguaggi e l’urgenza condivisa di reinventare il teatro.

Guardando al futuro, quali tensioni sentite oggi più urgenti da attraversare?

Viviamo una fase di forte decostruzione dell’immaginario occidentale, sospeso tra pulsioni illuminate e ombre storiche. In questo punto di rottura il teatro può nutrire il dibattito pubblico con visioni che gli sono proprie. Per me il teatro è un laboratorio che intercetta certi temi prima che diventino mainstream. Vent’anni fa parlavamo di cose che oggi sono ovunque. Il suo compito è continuare a guardare avanti.

Qual è oggi, per Sotterraneo, la forma più radicale di “essere vivi” sulla scena?

Restare in equilibrio tra divertimento e sforzo cognitivo. Andare a teatro non per stare bene, ma per pensare – magari anche per stare un po’ male – sapendo che questo può essere stimolante, perfino divertente. Portarsi a casa un rovello e cercare questo equilibrio contraddittorio senza ideologia: è lì che continuiamo a essere radicali.

 

SOTTERRANEO

Time Capsule 19 e 20 dicembre h 21,00 DJ Show 21 dicembre h 19,00 Teatro Cantiere Florida (via Pisana 111 r)

Info e prenotazioni

www.teatroflorida.it prenotazioni@teatroflorida.it + 39 055 71 35 357 / + 39 055 71 30 664

 

In copertina: foto di Masiar-Pasquali