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L’alchimia Tipstudio. Associare narrazione e pratica artistica

Imma Matera e Tommaso Lucarini lavorano tra Firenze e Pietrasanta. Con loro abbiamo parlat odi ricerca sui materiali, pratica creativa e della loro idea di design.

Tipstudio è l’incontro di due personalità distanti ma unite. Imma Matera e Tommaso Lucarini,che incarnano rispettivamente la mente narrativa che muove dalla ricerca emozionale e la pratica più empirica. Il duo di designer opera tra Firenze e Pietrasanta attraverso un lavoro dal sapore antropologico, che associa ricerca a sviluppo. Il focus è su ciò che viene prima della forma, attraverso il concetto.

La keyword che guida la vostra pratica artistica?

«Ce ne sono un paio. Quando iniziamo un progetto partiamo dall’analisi del materiale e la sua sperimentazione portandolo al limite, libero di esprimersi. Per alcuni progetti invece iniziamo dalla narrazione. Dunque materiale e racconto. In certi casi le due keyword si incontrano in un’ispirazione geologica. Loto per esempio è un travelling project di specchi dove raccontiamo il territorio attraverso la sua materia di provenienza, la terra, nelle diverse colorazioni variabili in base al luogo di raccolta».

Quale tecnica contraddistingue le vostre opere?

«Le fusioni dei metalli. Principalmente a cera persa, con il bronzo. Lost Paper per esempio è un progetto realizzato con cartone monouso usato per imballare le sculture nella spedizione. Senza un disegno originario diamo una nuova configurazione a questo elemento, congelandolo nel tempo. Immergiamo gli scarti in cera bollente e li facciamo essiccare su un controstampo spontaneo, si passa poi alla finitura al bronzo e all’essiccazione. Trattiamo anche le fusioni “insabbia” con cui lavoriamo l’alluminio, una tecnica più leggera».

Segnico TIPSTUDIO – foto Giuseppe Manzi

Il design è problem solving. La pensate come Bruno Munari o trovate più libertà creativa?

TL: «Mi reputo un allievo di Gaetano Pesce. Sono molto lontano dal suo pensiero ma ciò nonostante Munari è nelle mie basi. C’è sempre una ricerca dal design funzionale, esso non deve soddisfare solo l’esigenza fisica ma anche quella emotiva, come fa l’arte».

IM: «Di Munari condivido l’idea di ricerca e il concept, il pensiero critico e la sua visione artistica.Ci lasciamo ispirare dal suo approccio accademico. Nella progettazione siamo più vicini a EnzoMari con l’artigianato e a Gaetano Pesce per la libertà espressiva».

foto: Gaia Carnesi

Il materiale più curioso e sorprendente con cui avete realizzato un’opera?

«La terra cruda. Per realizzare Loto abbiamo preso del terriccio umido, l’abbiamo macinato e mescolato con gesso, ricavandone un composto finale fatto essiccare lentamente al sole. Anche gli acidi sono una bella scoperta, cambiano la tonalità delle superfici metalliche. Una ossidazione controllata che crea una reazione della lamiera, scaldata con una fiamma. Il progetto Oxibloom per esempio svela proprio la “fioritura” dell’ossidazione».

In che direzione sta andando il design?

«C’è sempre più personalizzazione, edizioni limitate e pezzi unici. Ci siamo stancati dell’oggetto uguale per tutti. Design e settore moda si stanno influenzando a vicenda e cambiano i ritmi di produzione. Nel settore fashion esiste la collab specifica con un artista e il disegno industriale sta andando in questa direzione. Ciò vuol dire che invece di produrre in stock la produzione sarà più consapevole, una visione intelligente sull’attualità e un’estetica personale».

Cosa vi piacerebbe progettare di insolito in uno scenario futuro?

IM: «Realizzerei un progetto legato al mondo dei tappeti, lavorare con i tessuti di recupero e riciclati. Un mondo affascinante perché è una superficie soffice e non rigida, un cambio di approccio».

TL: «I mega container per le acque sospese, le cisterne che si trovano su campi e lungo le strade mi hanno sempre incuriosito. Somigliano a dei tavolini su scala surreale, giganti che svettano. Alcuni sembrano ufo, fari o funghi».

Lost Paper TIPSTUDIO

Qual è la sfida maggiore per il design contemporaneo?

«Non cadere in contraddizione con sé stessi. Il design contemporaneo fa riferimento a un desiderio di espressività diversa. Deve avere un valore sociale, lavorare con gli artigiani, utilizzare materiali naturali. C’è il rischio di cadere in logiche di estrema industrializzazione. Non bisogna inventare a tutti i costi nuovi processi produttivi, ma reinterpretare quelli vecchi, per dar seguito a un sistema tradizionale che permetta un indotto locale, in contrasto con le dinamiche del collezionismo. La sfida è il design accessibile a tutti, quasi democratico».

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