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Fabbricanti di suoni. Intervista a Clank Modular

By Leonardo Cianfanelli

November 18, 2025

C’erano una volta due nerd musicali di Prato che sono riusciti a fare della loro arte da loser un progetto stiloso e riconosciuto a livello internazionale. Questa è la favola della Clank Modular, la piccola attività di Andrea Guasti e Emanuele Ravalli specializzata nella creazione di synth modulari. I nostri due eroi ci raccontano la loro storia in questa intervista.

Potete spiegare a noi profani cos’è un synth modulare?

«Di solito quando si pensa a un synth viene in mente una tastiera piena di manopole – e in effetti non è del tutto sbagliato – ma quella è solo la “facciata” di un insieme di moduli che lavorano insieme: oscillatori, filtri, VCA, LFO e compagnia bella. Con i synth modulari, invece, tutti questi pezzetti sono separati, ognuno con una funzione precisa, e puoi combinarli come vuoi, proprio come fossero pezzi di un Lego».

Com’è nata Clank Modular?

«Clank è nata da un’amicizia di lunga data. Andrea aveva già un’azienda nel settore, la Hope Custom Lab, con cui dal 2009 costruiva casse su misura per chitarra e basso. Emanuele, invece, da autodidatta si era buttato a capofitto sull’elettronica, iniziando a costruirsi da solo pedali, distorsori e amplificatori. Con il tempo le mode musicali cambiano, e nel 2016 Andrea dà vita a Clank, un marchio parallelo per costruire valigette su misura per synth modulari. A quel punto le nostre strade si sono incrociate di nuovo, e abbiamo deciso di unire le forze».

Ci parlate del vostro nuovo giocattolino, Uranograph?

«Uranograph è un po’ il nostro primo vero “strumento musicale”. Non è un modulo, non è un synth da collegare ad altri: è una macchina completa, pensata da zero come un vero strumento da suonare. L’idea era proprio questa: mescolare l’espressività di uno strumento acustico con tutta la potenza sonora del mondo elettronico. E per farlo non ci siamo limitati a costruire un suono, ma anche un nuovo modo di suonarlo».

Siete stati da poco al Superbooth. Com’è andata?

«Il Superbooth è un po’ il Natale dei produttori di synth: tutti vanno a Berlino a mostrare le novità, dai giganti del settore fino ai piccoli come noi. Quest’anno ci siamo andati con buone vibrazioni: credevamo tanto in Uranograph, ma quando ci hanno consegnato il premio come “Best of the Show 2025” siamo rimasti a bocca aperta».

Grazie anche a Stranger Things, sembra che il mondo dei synth sia tornato di moda. Che ne pensate? C’è davvero una scena?

«Sì e no. Diciamo che Stranger Things ha rilanciato un certo tipo di suono ― quello vintage, un po’ anni ’80, pieno di nostalgia. E ci sta: è super riconoscibile e affascinante. Ma se parliamo di synth in generale, non sono mai davvero passati di moda. Anzi, ogni epoca ha avuto i suoi: synth-pop, italo-disco, IDM. Ogni genere ha avuto il suo “strumento simbolo”. Con i modulari è un po’ diverso: sono più difficili da incasellare, perché nascono per sperimentare. Però sì, una scena c’è ― anche qui in Italia. Basta pensare a gente come Caterina Barbieri o Alessandro Cortini, che usano il modulare per creare musica super personale, anche molto melodica. Sono un’ottima dimostrazione di quanto sia vivo e stimolante questo mondo».