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Il sogno e la tradizioneIntervista a Jonathan Bocca

Il design per Jonathan Bocca è una disciplina alla ricerca di un equilibrio tra funzione ed emozione. Svelando la possibilità di cambiare il modo di concepire il design, sceglie materiali poveri e riciclati come protagonisti. L’ambiente in cui realizza le sue opere influisce nel processo creativo: lo dimostra il forte legame con Lucca, la sua città, e l’antica tradizione artigianale legata alla carta. Creando un circuito nel territorio in un ecosistema virtuoso, riesce attraverso le sue creature, a dare forma concreta ai propri sogni.

Cosa rappresenta per te il design?

«Il design è uno stile di vita, un approccio personale di soluzione ai problemi che guarda alla funzione come essenza. È un pensiero sociale connesso con l’efficienza, una ragione per trovare un nuovo media per ricerche. È una disciplina che fonde in modo esemplare la funzione, l’estro e l’immaginazione della persona. Il design si vive, non si impara».

Che ruolo ricopre nel mondo dell’arte?

«In contrasto con quanto sosteneva Bruno Munari nella sua metodologia, l’arte è design e si sviluppa all’interno di esso, non viceversa. Non esiste una differenza tra loro, non c’è un confine. Oggi, anche grazie alle teorie del filosofo Bauman e la sua idea di società fluida, possiamo alleggerirci del controllo e della razionalità, lasciamoci travolgere dal mondo senza etichettare tutto».

Trovi possibile reinventare l’oggetto di design in modo consapevole e sostenibile?

«La sostenibilità oggi è un dovere, il design che non agisce in modo consapevole non vive la contemporaneità. Avere almeno una percentuale sostenibile oggi è possibile. Il lavoro più importante è trasmettere concetti che invitino a una riflessione. Basterebbe partire dalle risorse, come diceva De André “dai diamanti non nasce niente”».

Quali materiali “poveri” della tradizione italiana immagini come protagonisti del futuro design?

«Ce ne sono migliaia, per esempio l’argilla delle tante fonti termali presenti in Toscana, o le fibre di giunco. Tutti i materiali di scarto sono interessanti. Mi piace creare match culturali comunicando il mio luogo di appartenenza e portarlo lontano. Lucca è la prima città a livello industriale nella produzione della carta. Vorrei essere portavoce della tradizione di zona per salvare la cultura italiana. Recentemente ho lavorato a una collezione realizzata con carta di gelso, proveniente dall’Oriente. Sto cercando di portare quella cultura dentro i miei lavori perché ne è l’origine, per questo terrò una mostra ad Hong Kong a novembre. In ottobre sarò invece a Pietrasanta, alla Galleria Umano di Alessandro Pardossi, con una personale dove presenterò tutta la mia ricerca sulla carta».

Hai preso parte alla residenza d’artista di Fabrica, il centro sperimentale per giovani talenti di Oliviero Toscani e Luciano Benetton. Cosa ti è rimasto di questa esperienza?

«Se oggi faccio il mio lavoro lo devo in grande parte a Fabrica, per me è stata fondamentale. Non provengo da una realtà vicina all’arte ma lì ho avuto la possibilità di conoscere tante personalità creative e culturali, veri talenti, e ho normalizzato l’idea di farcela nel mondo artistico. Credevano in me mettendo a disposizione tutto quello che poteva essere utile per realizzare il mio lavoro. Fabrica mi ha permesso di giocarmela con i grandi e con le giuste strumentazioni».

Qual è la tua creatura di design prediletta?

«Sono particolarmente legato alla poltrona Taurus, un progetto iniziato nel 2021 (Isola) con cui ho un legame affettivo. É un ricordo di mio padre, quando mi ci siedo è come stare ancora insieme a lui. Anche con la lampada Giraffa, presentata nel 2023, ho un legame profondo. É nata da un disegno fatto con mia nipote Alice. I legami familiari sono molto presenti e significativi nei miei lavori».

Il sogno è un elemento ricorrente nel tuo lavoro. Cosa sogna Jonathan Bocca?

«Sogno un mondo di emozioni. Amo il concetto surrealista di disegnare appena svegli, dò una forma a oggetti onirici e li approfondisco. Stiamo perdendo l’intelligenza emotiva e la cosa più grande che possiamo fare per le prossime generazioni è sognare. Il pragmatismo danneggia la società. Va alimentato il dialogo con le nostre emozioni senza paure e spero che i miei oggetti comunichino l’idea di creare qualcosa che provochi una riflessione su quello che sarà, per non arrivare ad una deriva iperfunzionale. Nelle case del domani vorrei vedere l’irrazionalità».

Foto di copertina: Daniel Pruteanu

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