Quando l’arte si mescola alla tradizione e alle proprie radici la memoria svela sentieri sconosciuti, che attraverso il sogno prendono forma.
Anna Capolupo è una pittrice le cui opere si muovono su gambe proprie, scivolando accanto a lei fuori dalla tela, per assumere forme tridimensionali. Cartapesta, ceramica, pietra, impasti. Ogni materiale diventa uno strumento di narrazione, creature dipinte che la circondano silenziose, nello studio d’artista.
La sua ricerca nella memoria è fatta di errori, ritorni e rivisitazioni in una sorta di autobiografia surrealista. Nonostante sia andata via giovanissima dalla sua terra calabra, vi ritorna spiritualmente e artisticamente, dove il viaggio non è solo fisico ma immaginato e sognato. Quella frattura della partenza si risalda con la pittura, tra ricerca e introspezione. Cromatismi accesi e soggetti ancestrali sono protagonisti, come i Pupi di zucchero, statuette dolci e colorate che nell’antica tradizione meridionale permettevano un ricongiungimento con gli avi e diventano, tra le mani dell’artista, figure antropologiche in forma di ex voto.
Una contaminazione tra talismano e design.
Scilla. Il Mito e la pittura
Il vento che soffia sul mare di Scilla in Calabria risuona per Anna come un vento che parla, tiene sveglio la notte e agita. Bisogna conoscere bene le rotte per abitare terre così irrequiete, che ricordano esistenze passate. È come quando abbiamo l’impressione di avere già conosciuto una persona, augurandoci di incontrarla sotto nuova forma in una vita futura. Secondo Alexandre Dumas “Scilla è un lungo nastro sul versante orientale della montagna che girandosi a guisa di S viene a distendersi lungo il mare”.
Su questo promontorio nasceva nel 1949 l’omonima scuola d’arte ideata da Renato Guttuso. Oggi rinasce come luogo di sinergia in simposi di pittura con la Nuova scuola di Scilla, di cui Anna e altri artisti fanno parte, alla Casa Rossa della storica famiglia Toma. Un luogo mitologico, magnetico come una bussola per pirati e dove l’amore per l’arte diventa il linguaggio comune.
Zemër Arberëshë Cuore Arbëreshë
Il passato può essere ombra ma anche protezione e rifugio. Anna racconta attraverso la sua arte le antiche origini Arberëshë a cui appartiene, comunità etno-linguistica greco albanese insediata nel sud Italia dal XV secolo per sottrarsi all’avanzata dell’impero Ottomano. Mescola ricordi d’infanzia a fatti storici, usanze e tradizioni rendendole in pittura. Sono storie antiche fatte di invasioni, fughe e resilienza che sopravvivono oggi in fazzoletti di terra un po’ isolati, dove il tempo è lontano da quello delle grandi città.
Alcune opere sono ispirate ad antichi indumenti evocativi balcanici, come il Vardacore (scaldacuore) un bustino che l’artista riproduce dipinto e corredato di ex voto, come oggetto propiziatorio.
Il viaggio, la crepa
Nell’Isola di Arturo Elsa Morante illumina raccontando il senso errante di vivere il luogo di appartenenza, dove il viaggio diventa fuga ma quella crepa resta dentro di te, come spiraglio da cui osservare il mondo, così come nell’arte di Anna Capolupo.
“Quelli come te che hanno due sangui diversi nelle vene, non trovano mai riposo, né contentezza. Tu te ne andrai da un luogo all’altro, come se fuggissi di prigione, o corressi in cerca di qualcuno. Ma in realtà inseguirai soltanto le sorti diverse che si mischiano nel tuo sangue, perché il tuo sangue è come un animale doppio, è come un cavallo grifone, come una sirena”.
E.M.
Info
www.instagram.com/anna_capolupo @nuovascuoladiscilla
Crediti fotografici: Gaia Carnesi