L’ex Monastero Sant’Orsola è in continua metamorfosi proprio come una creatura vivente e si appresta a vestire una nuova pelle artistica.
“The Rose that grew from concrete” in mostra dal 5 settembre al 31 dicembre 2025, si svilupperà all’interno dello spazio espositivo ancora cantiere, con un intenso gruppo di artisti italiani e internazionali. Abbiamo intervistato la direttrice e curatrice Morgane Laforgue Lucquet per svelarci qualche anticipazione.

Flora Moscovici
Direttrice, in che fase si trova il Museo e cosa ci aspetta rispetto all’ultima mostra?
I grandi lavori di ripristino dell’intero complesso di Sant’Orsola non sono ancora stati avviati (lo saranno dopo la fine della mostra) ma abbiamo già intrapreso alcuni significativi cambiamenti. Quest’anno il percorso di visita inizierà seguendo realmente quella che sarà nel futuro la logica delle sale espositive del museo.
Rispetto all’anno scorso apriremo alla visita l’intero cortile dell’orologio e i suoi due “bracci laterali”, cioè la zona dell’ex infermeria dell’antico convento e la parte opposta, quella che accoglierà dal 2027 le botteghe d’artigiani d’arte e lo studio d’artista legato al programma di residenze del museo. In quest’ultimo spazio verranno simbolicamente presentati i risultati della prima di una serie di collaborazioni tra artisti e artigiani d’arte locali. In quel caso l’incontro è tra la pittrice Mireille Blanc e la bottega storica Bianco Bianchi Scagliola.
Lo spazio
Chi saranno i protagonisti della nuova esposizione e su quali elementi sono stati selezionati?
Quest’anno sono stati invitati ben 13 artisti internazionali, 13 voci artistiche uniche con tecniche diverse, molte delle quali si rifanno ad antiche tradizioni una volta praticate a Sant’Orsola e reinterpretate in chiave contemporanea, come le arti tessili, la ceramica o l’affresco. L’artista Elise Peroi sta tessendo una serie di arazzi tridimensionali mentre il duo di artisti Cecile Davidovici e David Ctiborsky, che erano in residenza presso il museo sant’Orsola l’estate scorsa, stanno finendo di realizzare due opere ricamate.
I visitatori potranno attraversare le grandissime installazioni di Federico Gori e di Chiara Bettazzi e allo stesso tempo avvicinarsi alle piccolissime pitture del miniaturista Chris Oh. Delle opere in vetro saranno sospese sopra lo scavo, in dialogo con esso (Clara Rivault) evidenziando laddove sono state fatte le recenti scoperte archeologiche (Marion Flament). Interventi effimeri direttamente realizzati sull’edificio, con foglia d’oro (Shubha Taparia) o grazie ad uno spruzzatore agricolo e della pittura a calce (Flora Moscovici) andranno a “riparare visualmente ” questo edificio più volte ‘ferito’ nel tempo e dal tempo. Delle opere in ceramica dell’artista tedesca Beate Höing ricorderanno il patrimonio frammentario e sparso per la città del monastero e nell’antica cucina del convento sono stati versati ben 800 kg di sale per la cristallizzazione della nuova installazione dell’artista Bianca Bondi (attualmente borsista alla Villa Medici a Roma).
Chris Oh, miniature
Cosa può anticiparci? Sarà questa l’ultima esposizione al museo in “versione cantiere”?
Si, sarà l’ultima mostra prima dell’apertura ufficiale del museo prevista per la fine dell’anno 2026. L’ultima volta che sant’Orsola si trasforma davvero in un gigantesco museo senza pareti, l’ultima occasione per essere davvero essere pazzi, bucare e dipingere tutte le pareti disponibili (solo quelle di cemento armato ovviamente!).
Chiara Bettazzi
L’apertura al pubblico è prevista per il prossimo 5 settembre e la mostra rimarrà aperta per 4 mesi. Sarà previsto un programma di appuntamenti collaterali in parte fuori dal museo, come all’istituto francese di Firenze per un talk-incontro con gli artisti francofoni della rassegna. Anche delle performance nel percorso della mostra organizzate da alcuni nostri partner culturali come la fondazione Fabbrica Europa o ancora la compagnia di danza Simona Bucci/Compagnia degli Istanti. In più verrà lanciato il Sant’Orsola Podcast, ideato dagli Studenti di Museum education dello IED di Firenze insieme alla produttrice Ilaria Gadenz. Dal 5 settembre si potranno ascoltare i 3 primi episodi che daranno voce alle donne del passato e del presente di Sant’Orsola.
Qual è il filo rosso dell’esposizione?
L’edificio stesso e i suoi molteplici strati, fasi di storia, tutte queste impronte ma anche assenze che compongono la sua “strana” identità. Sin dalla fondazione, all’inizio del Trecento, la storia del convento di Sant’Orsola è stata segnata da fasi cicliche di costruzione, occupazione e abbandono. E tra le varie fasi, durante il periodo di abbandono, la Natura si è fatta strada, insinuandosi negli interstizi, crescendo tra pietra e cemento, ridando vita al luogo. Questo monumento ha attraversato i secoli, giungendo fino a noi in uno stato “multiforme” e ancora in evoluzione.
Il percorso di visita sarà un po’ concepito come un’esplorazione archeologica di fantasia, un viaggio nel tempo che abbraccia passato, presente e futuro. Sarà una mostra che racconterà una storia di riscoperte, di riparazione, di rinascita e resilienza.
Crediti foto: Gaia Carnesi