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Il tempo che ci resta. Reportage di una cena organizzata con Timeleft

Quando ero piccolo ero uno scout. Ho continuato anche quando, da adolescente, mi sono convinto che Dio non esiste, perché mi piaceva la comunità che avevo intorno. Durante l’ultimo anno di liceo ho fondato un collettivo studentesco, poi i collettivi universitari (comunisti, atei e bestemmiatori). La coerenza tra il frequentare un gruppo di scout e i collettivi è la partecipazione a gruppi eterogenei, fatti di persone incontrate per caso e senza door selection.

La progressiva erosione, negli ultimi anni, dei cosiddetti “corpi sociali intermedi” (la parrocchia, i circoli, le sedi di partito e così via) ha ridotto queste possibilità di incontro. Lavoriamo e torniamo a casa strematə, nel weekend consumiamo il tempo o ci lasciamo consumare dal vuoto. Siccome il capitalismo crea un problema e poi ti offre la soluzione, abbiamo le app di incontri. Senza farla troppo lunga, ne ho usata una uscita da qualche tempo sul mercato. Si chiama Timeleft e fa incontrare sei persone sconosciute a cena fuori.

Quando apro l’app vengo invitato da una scritta bianca su sfondo cremisi a «correre il rischio», poi ad «accomodarmi» (che strano ossimoro) e finalmente a pronunciare le parole hello stranger. Compilo un sondaggio per profilarmi, poi seleziono una città e un giorno in cui andare a cena. Usarla è molto costoso: oltre al ristorante bisognerà pagare un ticket di 14€ per avere accesso alla cena; lə utenti segnalano che spesso le cene saltano, a me è andata bene e ci ritroviamo in un ristorante in zona San Lorenzo a Firenze.

Il posto è pieno di gente e ci sono due tavoli prenotati a nome dell’app. I due gruppi, costruiti secondo una logica algoritmica senza dubbio impeccabile, si ritrovano mescolati per errore, hackerando forse l’alchimia tecnologica, chissà. Sono il primo del mio tavolo, non so se gli altri arriveranno e la cameriera è indecisa se mandarmi via o mettermi in un angoletto in attesa. Io le chiedo con insistenza cosa fare, lei continua a dirmi «decida lei» con un sorriso che tradisce imbarazzo, sconforto e nervosismo.

Decido di aspettare e affrontare le mie paranoie, legate soprattutto alle prassi del mangiare comunitario. Lo spazio della cena è estremamente intimo e occuparlo con persone estranee può mettere a disagio: condividiamo gli antipasti? ordiniamo vino? se qualcuno mangia più degli altri paghiamo alla romana?

Timeleft propone allə utenti di fare un gioco: venti domande a livelli crescenti di difficoltà, ovvero di intimità. Per fortuna non giochiamo, nonostante l’insistenza di una partecipante. La cena procede in modo del tutto normale, neutro, piatto. Qualcuno, nelle recensioni online, segnala situazioni particolarmente sgradevoli, cene rovinate da persone presuntuose o antipatiche, altri (pochi) sono entusiasti. Quando dopo due ore una partecipante dice «beh, io mi sa che vado» il mio petto si decomprime ed esco dall’apnea in cui mi ero rinchiuso in modo inconsapevole. Un brusio di battute chiude l’intreccio di trame e discorsi che si erano aperti durante la cena, come fosse l’episodio conclusivo di una fiction; saluti, a presto, rifacciamolo.

Da pochissimo tempo Timeleft ha introdotto la possibilità recensire le persone che hai incontrato e di matchare per invitarle direttamente alla prossima cena. Recensire cosa? L’umorismo, il modo di masticare, il vestiario, gli interessi? Chissà. Io, nel dubbio, non lo farò mai più.

 

Foto di copertina: Unsplash

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