Valter Malosti e Manuel Agnelli porteranno a Firenze l’ultima ed enigmatica creazione di David Bowie, in scena al Teatro della Pergola dal 24 al 27 aprile, prodotta da Emilia Romagna Teatro in collaborazione col Teatro di Roma e riproposta dopo il debutto italiano del marzo 2023 per la regia del direttore di ERT, curatore della versione italiana con i preziosi consigli di Enda Walsh.
Gli interpreti e i creatori dello spettacolo di Valter Malosti, “Look up here, I’m in heaven”
Cantautore e storico frontman degli Afterhours, tra i nomi di punta della musica italiana, Manuel Agnelli interpreterà il protagonista, l’alieno e migrante interstellare Newton intrappolato sulla Terra. Al suo fianco la cantautrice e polistrumentista Casadilego, vincitrice della XIV edizione di X-Factor Italia e un ricchissimo cast costituito da undici performer e otto musicisti tutti di altissimo livello. Le orchestrazioni e gli arrangiamenti originali sono quelli di Henry Hey e il progetto sonoro di GUP Alcaro, collaboratore storico di Valter Malosti e vincitore del Premio Ubu 2023. Il progetto monumentale offre agli spettatori le scene di Nicolas Bovey, costumi e luci di Gianluca Sbicca e Cesare Accetta, video di Luca Brinchi e Daniele Spanò, movimenti e coreografie di Marco Angelilli e Michela Lucenti e i cori di Bruno De Franceschi.

Lazarus – Manuel Agnelli, Casadilego e Valter Malosti – foto di Laila Pozzo
La trama e la poetica del Wort-Ton-Drama di Bowie, tra misticismo e introspezione psicologica
Ispirato al romanzo di Walter Tevis, The Man Who Fell to Earth, e scritto da Bowie con il drammaturgo irlandese Enda Walsh, Lazarus debuttò a New York il 7 dicembre 2015, appena un mese prima della morte del cantautore britannico. Al centro della trama la vicenda di Newton, un alieno prigioniero sulla Terra, isolato e chiuso nel suo appartamento in preda ai suoi stessi fantasmi e al gin. Arreso e disperato, Newton riceve segnali dal passato attraverso la TV e capta visioni del futuro generate dalla sua mente che lo portano a confondere fantasia e verità. L’opera di Bowie ci proietta in una dimensione distopica ma anche fortemente introspettiva in cui le fantasie del protagonista si affastellano nella sua mente all’interno di un appartamento claustrofobico. Musica, teatro, danza e video-art si fondono per creare un’esperienza di teatro-totale dove gli artisti sono medium di uno straordinario flusso di energia. «Lazarus è un’opera sofisticatissima, ma al tempo stesso popolare, che ci parla del nostro viaggio di migranti sulla Terra – spiega Valter Malosti – Di Bowie-Newton scompare il corpo, ma rimane l’altissima qualità dei suoi testi musicali e l’energia che attraverso la sua musica ci salva e ci fa vibrare». In un’intervista sul New Musica Express del 1973, David Bowie dichiarava: “Ho sempre avuto la sensazione di essere un veicolo di qualcos’altro, tutti provano questa sensazione prima o poi e molti iniziano a leggere la Bibbia trovando una risposta nella religione. In me questa sensazione di essere qui per uno scopo ulteriore è fortissima.”
L’ultimo “dono di Suono e Visione” del Duca Bianco nelle parole di Enrica Orlando
Dopo oltre cinquant’anni di carriera all’insegna della metamorfosi e dell’incessante desiderio di vivere l’arte a 360 gradi, l’icona rock approdò al genere operistico interpretandolo in chiave del tutto personale. Lo spettacolo include numerosi brani tra i più celebri del cantautore e quattro pezzi scritti appositamente e collegati tra loro attraverso una drammaturgia parallela, tra cui Lazarus, l’ultimo singolo pubblicato dall’artista. Nel libro di Enrica Orlando, Un dono di suono e visione. David Bowie e il teatro di Lazarus (Arcana Edizioni), la regista e performer si interroga sul destino del protagonista, caduto sulla Terra e bloccato tra il sogno di tornare indietro e il dolore di una realtà che lo sta divorando. La colonna sonora dello spettacolo rappresenta “una vita che si snoda in un labirinto tra sogno e realtà, il suono della morte, del risveglio e dell’attesa di un soccorso…?” L’autrice analizza l’edizione originaria di Lazarus, con un approfondimento sulla versione italiana arricchita da un’intervista a Valter Malosti. Lazarus è universalmente considerato un ultimo “dono” di suono e visione che l’autrice definisce da “scartare” con curiosità e con la consapevolezza che nell’Arte, come nell’amore, non esista una fine ma solo una trasformazione.
Lazarus – Manuel Agnelli – foto di Fabio Lovino
Abbiamo potuto rivolgere due domande al regista e al protagonista dello spettacolo per indagare il mistero di Lazarus che mette in scena una mente che si disgrega e si reinventa.
Quanto è stato complesso costruire questo equilibrio tra narrazione e flusso visivo-sonoro?
Valter Malosti: La narrazione è complessa e si sviluppa attraverso numerosi personaggi e linguaggi espressivi: la scena si svolge dentro un antro scuro, rappresentazione della mente del protagonista, ai cui lati sono collocati i musicisti che eseguono una musica potentissima. L’impatto visivo è reso attraverso le luci e la videoarte di Daniele Spanò e Luca Brinchi, con uno sguardo all’opera di Andy Warhol che non cade mai nel didascalico ma cerca di trasmettere emozioni, energie e flow. Grazie a Enda Walsh abbiamo potuto recuperare una scena dello spettacolo originale che era stata tagliata perché ritenuta troppo forte per il pubblico newyorkese (durante la preview qualcuno si era lamentato). È una scena nella quale Casadilego (Elisa Coclitesi) si è dimostrata una bravissima attrice, aveva fatto l’audizione perché c’era bisogno di una musicista capace di cantare in un certo modo e lei riesce davvero a far sospendere il fiato agli spettatori sia col canto che con la recitazione.
Lazarus – Manuel Agnelli e Valter Malosti – foto di Laila Pozzo
Alcuni brani di Lazarus sono tra i più intimi mai stati scritti da Bowie. Come li avete lavorati a livello vocale e performativo per mantenere intatta l’intensità e il mistero della musica?
Manuel Agnelli: Per quanto riguarda la parte vocale, abbiamo cercato di restituire quel tipo di emotività, non tanto la timbrica o il modo di cantare di Bowie, restando ovviamente fedeli alla partitura che è meravigliosa. La parte più intima dell’opera è costituita dalla sua stessa trama che tra le righe ci parla di noi: la distanza di Newton da casa non è altro che una metafora della distanza da noi stessi, da quello che volevamo diventare, che siamo diventati o che eravamo. Mi sono riconosciuto moltissimo in questa condizione e probabilmente a vent’anni non avrei mai potuto interpretare questo spettacolo perché non avevo ancora il percorso di vita necessario. Newton vuole ritrovare la propria casa, i propri amori, che in realtà sono dentro di lui anche se si trova a migliaia di chilometri di distanza. Le visioni del protagonista sono metafore delle nostre, oniriche ma anche molto concrete. A livello timbrico, essendo in teatro, siamo obbligati a essere vocalmente “presenti”, non si può sussurrare come in uno studio di registrazione, però è importante conservare la delicatezza di alcune canzoni. L’opera è una sequenza di composizioni molto diverse tra loro, caratterizzate da una grande varietà timbrica e dinamica, io stesso canto alcuni brani intimi, altri esplosivi e in un paio di casi anche abbastanza “cattivi” come Killing a Little Time o It’s No Game. L’aspetto più importante per me era riuscire a essere versatile senza mai perdere l’emozionalità, con la presenza necessaria per essere un grande teatro e con una base musicale prorompente. Bowie amava definirsi “un attore che canta” ed è stato molto vicino al teatro, anche grazie al suo incontro con Lindsay Kemp, ballerino, coreografo, attore, mimo e regista britannico con cui il musicista ebbe una relazione sentimentale e avviò numerose collaborazioni artistiche (ndr). Kemp fu coinvolto nella coreografia di alcune parti del concerto di Ziggy Stardust, in cui Bowie eseguì una complessa sequenza di mimo creata per lui dal coreografo. Già negli anni Settanta il Duca Bianco avrebbe voluto creare un musical dal brano 1984, ispirato all’omonimo romanzo di George Orwell e inserito nell’album Diamond Dogs (ndr), ma la vedova di Orwell glielo proibì. Per quanto riguarda la performance la consapevolezza di ciò che si vuole dire e la direzione in cui si vuole mandare l’energia è molto importante e questo vale anche per il teatro: non si può cantare né recitare senza sapere che cosa si sta dicendo. Il significato musicale è lirico, astratto e misterioso, e ognuno può interpretarlo a modo suo. La musica è energia allo stato puro che scorre potentissima e va veicolata, noi musicisti dobbiamo saper essere dei medium che si fanno attraversare da questa energia creativa per consegnarla al pubblico.
Durata: 1h e 45’, atto unico.
Info e Biglietti:
Teatro della Pergola
Via della Pergola 18/32, Firenze
Tel 055.0763333
biglietteria@teatrodellapergola.com
foto di copertina: di Fabio Lovino