Cinema

La leggerezza. Riavvolgere il nastro di una vita prima che l’ultimo ricordo sia perso

By Caterina Liverani

April 30, 2025

Con il suo ultimo documentario La leggerezza il regista fiorentino Andrea Caciagli non racconta solo l’aggravarsi di una patologia senile e l’inesorabile svanire della memoria, ma ripercorre la storia di una famiglia: la sua. Quando a sua nonna viene diagnosticato l’Alzheimer è subito chiaro che la situazione andrà affrontata sfidando la frustrazione e la rabbia che la comunicazione con una persona confusa e spaventata può dare. Ne viene fuori un racconto intenso e che non tralascia nemmeno di restituire allo spettatore, insieme alla riflessione e alla commozione, un irresistibile, genuino e talvolta surreale umorismo.

Un progetto nato per trattenere la memoria che è diventato qualcosa di diverso in corso d’opera, racconta Caciagli: «Mi sono fatto prestare una reflex per documentare l’ultimo tratto di vita dei miei nonni. Mi sono accorto però che molti dei loro ricordi se ne erano già andati. Ho iniziato quindi a filmare il quotidiano di chi ha a che fare con l’Alzheimer e che di solito rimane confinato fra le mura delle case come, ad esempio, quando mia nonna si svegliava nel cuore nella notte pensando che fosse mattino. Mettere il filtro della macchina da presa, è stato anche un modo per gestire la difficoltà emotiva. È stato più complicato dover rimettere insieme tutto il girato. Per le riprese mi ero dato una finestra temporale di 6 mesi: dall’8 dicembre del 2016 al 5 maggio del 2017, anniversario delle nozze di platino dei miei nonni. Una volta raccolto questo materiale mi sono accorto che potenzialmente c’era una storia. La scrittura di una sceneggiatura, che desse una linea temporale per comprendere gli eventi, mi ha preso qualche mese. Nell’estate del 2018, quando mio nonno è mancato, ho girato una seconda parte e ho concluso a dicembre 2019 aggiungendo lo svuotamento della casa e le interviste a mio padre e mio zio».

Dopo aver visto il tuo film mi è capitato di rivedere Amour di Michael Haneke e ci ho trovato dei punti di contatto: una casa, una coppia di anziani con lei che va spegnendosi. Quello naturalmente è un film di finzione, vorrei sapere però se per il documentario hai avuto qualche autore di ispirazione.

«Il riferimento più presente per me è quello di Alina Marazzi. Il modo in cui ha raccontato la malattia della madre, mantenendo tutto il pudore necessario, in Un’ora sola ti vorrei. Haneke invece mi ha ispirato per il suo approccio scevro da patetismo. Personalmente volevo anche evitare di soffermarmi solo sull’aspetto medico della malattia».

Come hai convinto i tuoi a farsi filmare in momenti di grande vulnerabilità?

«Ancora oggi non so rispondere. Non ho dovuto convincere nessuno e questo è abbastanza incredibile. Hanno capito, prima di me, che quello che stavo facendo poteva diventare qualcosa di importante. Nel film c’è una scena molto forte in cui mio padre perde la pazienza. Mentre si svolgeva a lui non è mai venuto in mente di chiedermi di interrompere le riprese. È giusto che ci sia anche quello nel film, è parte della storia. A nessuno ha importato di fare o meno, bella figura, ma solo di raccontare quel momento».

 

La leggerezza sarà proiettato al Cinema La Compagnia in collaborazione con AIMA il prossimo 7 maggio.