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IDILLI ALLA SCUOLA DI DISEGNO DI SANTA ROSA

Nuvole di fumo, baffi e figurazioni su carta sono i protagonisti di Santa Rosa, tanto quanto l’arte e le relazioni. La libera Scuola di disegno è un idillio corale dove l’ascolto è senza giudizio e l’espressione artistica la sua musa. Non è una performance, né un happening ma tempo sospeso, mentre i fogli si sovrappongono sotto posaceneri e bicchieri.

Fondata nel 2017 dagli artisti Luigi Presicce e Francesco Lauretta, la scuola è errante e sceglie luoghi di incontro diversi che diventano occasionali zone di comfort.

Ci si trova di martedì, giorno del pianeta Marte, secondo gli astri il più adatto ai riti e a ciò che richieda coraggio e iniziativa.
La pratica artistica ricerca luoghi di appartenenza come un buen retiro, in una condivisione antropologica e inedita. La scuola è una filosofia e l’arte dell’incontro la sua ricchezza.

Intervista a Luigi Presicce e Francesco Lauretta

Cosa rappresenta per voi la Scuola di Santa Rosa?

Si chiama scuola e non progetto perché si rifà a situazioni storiche “da bar” come quella di Piazza del Popolo, dove negli anni ‘60 artisti come Mario Schifano o Jannis Kounellis si riunivano al caffè Rosati. O la Scuola di Scilla in Calabria e quella francese di Barbizon nell’800.
Arrivi in bicicletta e vai a disegnare ricercando la bellezza in compagnia, perché da solo magari non la riesci a trovare.

Qual è stata l’iniziativa culturale più significativa per la Scuola?

All’inizio le istituzioni si sono aperte, in particolare il Museo Novecento a Firenze, poi Biennolo, la collezione Maramotti a Reggio Emilia o la Biennale d’arte contemporanea a Milano. La più soddisfacente è stata però la Biennale di Venezia 2024, nel padiglione del Congo. Per tre giorni ci ritrovavamo in piazza San Marco al caffè storico Lavena, in mezzo ai camerieri in livrea.

Dove è stata Santa Rosa oltre gli argini fiorentini?

LP. Santa Rosa è arrivata a New York nel 2018, mi trovavo lì in residenza d’artista. Gli incontri avvenivano in contemporanea a Firenze con Francesco, ma nel fuso orario opposto. Ci trovavamo al bar Sel Rrose, dove sul menù un cocktail a base di rose e champagne chiamato Santa Rosa confermava l’alchimia. Era l’unico momento in cui trovavi tutti gli italiani nello stesso luogo.
Ma siamo stati anche a Roma nel noto bar San Callisto a Trastevere, o a Bologna.

Può la vostra scuola definirsi un momento di rivoluzionaria arte-terapia?

LP. Credo che lo stare bene non faccia parte della pratica. Ho fatto diversi laboratori in ospedali psichiatrici importanti come il Paolo Pini di Milano o a San Colombano al Lambro, con l’Atelier di Pittura Adriano e Michele. In quei luoghi la pratica pittorica era un diversivo per evadere dai pensieri ossessivi ma non era una cura, né una soluzione. C’erano artisti nel senso concreto del termine, perché non si mettevano di fronte alla tela con una voglia nuova tutti i giorni, ma facevano sempre la stessa cosa, con metodo e carattere. Non era terapeutico, era artistico.

Immaginate un’evoluzione della Scuola?

L’evoluzione è restare ciò che si è, come siamo nati.

Siete i direttori d’orchestra di questa “aria artistica”. Quale insegnamento regala a voi Santa Rosa?

LP. La soddisfazione che mi lascia è tornare a casa contento di avere fatto qualcosa per gli altri, perché ho creato una cosa diversa, libero da qualsiasi costrizione.

FL. Per un certo periodo ho smesso di disegnare ma con Santa Rosa ho potuto riflettere sulla mia condizione. La scuola mi ha permesso di lavorare a briglie sciolte. Nelle “Fantasticherie del passeggiatore solitario” di J. Rousseau l’individuo, nel momento in cui cade l’attrazione verso le altre cose, capisce che esiste solo lui e nessun altro desiderio. Questo niente è sintomo di totale libertà che qui sento e si rinnova tutte le volte.
Per me la scuola di Santa Rosa è una grande opera d’arte.

 

Info
@Scuoladisantarosa
@lugiantoniopresicce
@fra.lauretta

 

Crediti fotografici: Gaia Carnesi

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