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CAMPO LIBERO, UNA STORIA DI SPORT E INCLUSIONE

di Francesca Raffagnino

«Il concetto di libertà è il filo narrativo attorno al quale si sviluppa la rappresentazione di questa meravigliosa squadra che ho avuto il piacere di conoscere». Queste le parole della regista Cristina Principe alla presentazione del suo nuovo cortometraggio Campo Libero, tenutasi presso il Cinema Astra l’11 febbraio. Il racconto-documentario della Fiorentina baseball per ciechi attraverso i sogni e le emozioni dei suoi giocatori e guidato dalla voce narrante di una di loro, Vanessa.

Baseball per ciechi; una disciplina di origine americana, ma di invenzione italiana

Questo sport, racconta la Presidente della squadra Silvia Secchi, è nato grazie all’intuizione di Alfredo Meli, ex giocatore della Fortitudo  Baseball Bologna. La prima partita ufficiale, ricorda, è stata giocata nel 1994.

L’idea di Campo Libero

«Prima di partire con l’idea di un cortometraggio, prendere telecamere e troupe», Cristina Principe decide di andare direttamente sul campo.«Non sapevo cosa mi sarei aspettata» e dall’osservazione degli atleti ne trae la seguente considerazione: «Non ho avuto solo la percezione di un campo libero, ma anche di un campo neutro, in cui questi ragazzi non vedenti sono degli atleti al cento per cento e viene loro richiesto lo stesso livello di prestazione fisica dei soggetti normodotati. In questo campo neutro non esistevano i concetti di disabilità come limite-barriera». Per cui, aggiunge, l’atteggiamento da parte dell’allenatrice Ilaria di Giulio e di tutto lo staff della Fiorentina BXC era «di massima serietà, tipica dell’ambiente sportivo». E questo aspetto lo si coglie benissimo nel cortometraggio. «Direi che parla da solo», afferma Giuditta Carretti, preparatore atletico e assegnista di ricerca presso l’Università di Firenze: «Sostanzialmente abbiamo visto degli atleti a tutti gli effetti che praticano una disciplina sportiva agonistica altamente tecnica. Sicuramente nel vedere certe dinamiche di gioco così veloci, tutti per un attimo ci siamo dimenticati che si tratta di soggetti affetti da disabilità visiva».

Il movimento come espressione

Nel corso della presentazione la Dottoressa Carretti giunge poi ad una riflessione fondamentale: «Sappiamo che l’essere umano ogni volta che interagisce con la realtà che lo circonda attraverso il movimento, non compie solo un’azione più o meno finalizzata, ma si esprime in tutta la sua complessità di corpo, mente e anima». Prosegue: «La motricità ha sempre una componente espressiva. E se vogliamo andare a vedere l’etimologia, dal latino “esprimere” significa “spingere per far uscire”. Ma “far uscire che cosa”? Far uscire chi siamo, chi vogliamo essere e diventare, al di là di tutte le etichette imposte dalla società o anche dalla propria condizione di salute». Motivo per cui, come ospite della proiezione, è stato invitato Giuseppe Comuniello, coreografo non vedente che interviene nel dialogo con un focus su “L’immaginazione e la percezione del corpo nello spazio attraverso la danza”.

I benefici del baseball adattato

«Mi sono resa conto» afferma la regista: «che al di là di tutto il gesto atletico, sportivo, prestativo c’erano anche tutta una serie di benefici psicologici che emergevano». Benefici che vengono ribaditi e sottolineati anche da uno dei giocatori, Johnny: «Da quando gioco a baseball sono diventato più autonomo» elencando le attività in cui ha acquisito maggiore fiducia quali andare a fare la spesa, andare a lavoro o correre.

Il concetto di inclusione è al centro di questa disciplina. Le squadre per regolamento sono miste per genere, età e grado di disabilità visiva. Possono partecipare sia persone non vedenti che persone ipovedenti e l’uso di una mascherina azzera ogni possibile differenza visiva che potrebbe avvantaggiare un atleta rispetto all’altro. Ciò che conta veramente per orientarsi nel campo è la familiarità con i suoni e la capacità di mantenere la concentrazione.

Il terzo tempo

Prosegue Johnny: «Da quando gioco con la benda non ho più paura degli ostacoli, mi muovo molto più liberamente». Per lui esser parte di una squadra è una sensazione bellissima: «Ci ritroviamo non solo sul campo, ma anche fuori dal campo; lo chiamo il terzo tempo». Un senso di amicizia e etica dello sport che ha colpito anche il direttore della fotografia Pierfrancesco Bigazzi e che si viene a creare «anche con le squadre avversarie. Si vede nel cortometraggio. È una cosa molto bella che ho apprezzato tantissimo durante la partita» parlando degli abbracci finali con i giocatori della squadra del Roma nonostante la sconfitta di quest’ultima.

Oltre ai risultati che questi atleti, «una delle migliori difese del campionato italiano di baseball per ciechi», stanno raggiungendo, l’allenatrice Ilaria di Giulio afferma commossa che la sua soddisfazione più grande «è che insieme a Giuditta, con i nostri allenamenti, possiamo in qualche modo migliorare la vita a questi ragazzi». Da qui l’urgenza di raccontare e la scelta della regista di girare un documentario invece di costruire una storia: «La realtà è quella che io ho dovuto assolutamente riportare».

Campo Libero (Italia, 2025, 15’)

https://www.campolibero.org/

foto di Kinzica Vannini

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