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Alba Blu. Raccontare un abuso

Ricominciare a vivere senza tremare, senza guardarsi costantemente alle spalle. È questo che tenta di fare la protagonista di Alba Blu, il nuovo cortometraggio diretto e interpretato dalla regista e attrice fiorentina Emanuela Mascherini, presentato in anteprima al Cinema La Compagnia in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Il racconto parte da un’esperienza che hai vissuto sulla tua pelle?

«Nel 2010 ho subito un’aggressione e avevo esigenza di raccontarla senza cadere in facili stereotipi. Per questo mi sono concentrata sui segni invisibili, quelli che il corpo restituisce sotto forma di panico. Quelle ferite che raramente vengono prese in considerazione quando si denuncia un abuso. Fa parte della nostra cultura occidentale assicurarsi di risolvere un problema curando unicamente le ferite del corpo ma ci sono microviolenze invisibili e stratificate».

 

Alba Blu è il risultato di un periodo di creatività vissuto fuori dall’Italia.

«Ho trascorso i primi mesi di quest’anno a Berlino per una residenza sostenuta dalla Berlinale, ho potuto sviluppare due progetti di lungometraggio e finalizzare il lavoro di scrittura e preproduzione per questo corto. Nei mesi trascorsi a Berlino ho capito che avrei dovuto fare un lavoro sul linguaggio, volevo che tutto risultasse disturbante e ho indagato suggestioni horror. Quando si racconta cinematograficamente l’inconscio è difficile restituirgli una dimensione reale, ho optato quindi per l’uso asfissiante del 4:3 e il racconto in soggettiva, perché volevo che lo spettatore avvertisse i postumi della mia esperienza. Ho frequentato l’horror come attrice e ne condivido la capacità politica di denunciare ciò che non si può dire apertamente. Mi sono ispirata a film come L’inquilino del terzo piano di Polanski».

 

Lo si riscontra molto nelle scene notturne per le quali hai scelto una location speciale.

«Nell’estate del 2020 ho avuto una folgorazione visitando il MAXXI di Roma, dove era esposta l’installazione Afterlove dei Vedovamazzei: una casetta, ispirata al cortometraggio One Week di Buster Keaton, costruita per riflettere sul concetto di abitazione che avevamo tutti vissuto in lockdown. Ho scritto la sceneggiatura pensando a questa opera che si trova in una collezione privata a Porto Ercole. Un’altra ambientazione che mi è stata molto a cuore è quella della Biblioteca nella quale ho cercato di disporre lo spazio e i corridoi per creare un labirinto della mente. Volevo avvicinare lo spettatore allo stato d’animo di una vittima di un abuso».

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

«Continuare a lavorare a quello che ho sviluppato a Berlino. Molte cose in questo momento mi stanno portando professionalmente verso Napoli ed è un interessante cambio di orizzonte».

 

 

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