Il cinema di Michelangelo Antonioni cambia pelle come i serpenti, specchio di epoche, ideologie e sentimenti. In occasione della rassegna dedicata al regista ferrarese in corso al cinema La Compagnia (fino al 23 dicembre), il 2 dicembre verrà presentato “Infinito Antonioni. Una ricerca rivoluzionaria sulle immagini”, un saggio che svela il profilo di un uomo moderno. Scritto da Elisabetta Amalfitano e Giusi De Santis con i contributi di Giulia Chianese, Iole Natoli e Francesca Pirani con la prefazione di Enrico Magrelli è uno spaccato del cinema del Novecento.
In dialogo con Elisabetta Amalfitano
Quattro donne con profili professionali differenti raccontano Antonioni. Com’è nata questa iniziativa?
Nel 2019, per l’Associazione “Venti Secondi”, facemmo una bellissima giornata sul cinema di Antonioni a Via di Roma Libera a Roma dove raccontammo vita e attività artistica dell’autore.
Ci siamo ritrovate due anni dopo a pensare come ricomporre i nostri saperi diversi (una storica della filosofia, una critica cinematografica, un’attrice, una regista e sceneggiatrice e una regista e poetessa) continuando quel discorso. Ci siamo incontrate, divise argomenti e “zone di interesse”. Insieme all’altra curatrice – Giusi de Santis – abbiamo costruito l’indice e la struttura del libro, assegnato i capitoli, le interviste, le fotografie da cercare. Dopo un lungo cammino siamo arrivate al volume di oggi.
Il riscatto degli ultimi, la contestazione al regime. Cosa ne pensa dell’ideologia dell’autore?
Antonioni, pur essendo refrattario a ritratti da regista engagé, ha sempre preso posizione attraverso il suo fare cinema. Fin dagli anni ‘40, quando filmava gli umili (“Gente del Po”) che il regime fascista non voleva sullo schermo per paura che “rovinassero l’immagine della patria”; o anche negli anni ‘50 del bigottismo democristiano, quando difendeva l’indipendenza delle donne, la laicità di pensiero e ancora negli anni ‘60, con la contestazione alle porte scandagliando le pieghe dell’animo umano. In “Il Deserto Rosso” c’è una scena in cui la protagonista Giuliana (Monica Vitti) chiede a Corrado, collega del marito, “Che cosa significa essere di sinistra?”. E Corrado risponde: “Quello che importa è di agire nel modo che si ritiene giusto, giusto per sé e per gli altri, cioè di avere la coscienza in pace, la mia è tranquilla”. Credo che queste parole ci dicano tanto dei suoi punti di riferimento politici e culturali.
La femminilità e il gioco dell’amore rappresentano un filo rosso nelle sue storie. Che tipo di donna racconta il regista?
Sicuramente è una donna che cerca l’indipendenza materiale e psichica. E questo, in un mondo fondamentalmente patriarcale, è già un segnale enorme che ci svela quanto il regista di Ferrara le amasse. Le donne sono il motore delle storie, coloro che si agitano e che dicono “No” quando le cose non vanno. Sono coloro che non si fermano, che hanno uno sguardo diverso e più profondo sul reale.
L’alienazione e la crisi sono temi ricorrenti per il regista. Quale messaggio volevano veicolare?
Questi temi fanno di Antonioni un autore del tutto originale e rivoluzionario. Egli seppe portare a rappresentazione artistica la malattia che stava colpendo la società del benessere degli anni ’50-‘60: l’anaffettività. E noi cinque autrici abbiamo fatto ruotare intorno a questa problematica il libro intero, ci siamo avvalse di una lente di ingrandimento speciale: le “teoria della nascita” dello psichiatra Massimo Fagioli che andava scoprendo e definendo proprio negli stessi anni la sua teoria. Lo psichiatra infatti fra la fine degli anni ’50 e il 1964 scopre la “fantasia di sparizione” che il malato schizofrenico compie in occasione dell’assenza dell’analista. Questo meccanismo inconscio di far sparire l’oggetto, la persona che provoca la crisi è alla base, secondo Fagioli, di un’ulteriore sparizione: quella dei propri affetti.
Quante volte cambia forma il cinema di Antonioni?
Antonioni è stato un regista sempre al passo con i tempi, anche in termini di sperimentazione artistica e tecnologica. Non ha mai rifuggito il progresso, ma lo ha messo al servizio della propria arte sperimentando continuamente: dal montaggio alle inquadrature, dall’uso del colore all’esplosione di Zabriskie Point. A partire da Blow-Up comincia tutta l’indagine sullo statuto dell’immagine, cogliendone il big bang, come nascono e si affermano nel processo creativo, punto essenziale del suo indagare.
Perché “Infinito Antonioni”?
Perché Antonioni, come tutti i “classici” e i grandissimi artisti, non mostra i segni del tempo e resta sempre di un’attualità disarmante, sia come uomo che come artista. Studiarlo è come calarsi in un “pozzo profondo”: una ricerca continua che ci sprona a resistere e a non abbattersi mai in questa ricerca sulle immagini e sull’umano.
“Infinito Antonioni. Una ricerca rivoluzionaria sulle immagini”. Edizioni L’Asino d’oro
Presentazione presso la Saletta al Cinema La Compagnia, 2 dicembre h.19.00
Prenotazioni a info@cinemalacompagnia.it