Dal 5 al 7 aprile si tiene, dentro la fabbrica occupata GKN di Campi Bisenzio, la seconda edizione del Festival di Letteratura working class, organizzato dal Collettivo di fabbrica GKN, dalla SOMS Insorgiamo e dalla casa editrice Alegre in collaborazione con Arci Firenze. Saranno tre giorni di incontri, tavole rotonde e proiezioni dedicate al lavoro culturale e alla letteratura dell’autorappresentazione della classe lavoratrice, con ospiti italiani ed europei. Il programma completo è consultabile sul sito di Alegre. Abbiamo intervistato il direttore del Festival, Alberto Prunetti, per parlare del valore politico e culturale di questa manifestazione.
Qual è il significato della frase con cui avete lanciato il festival, “Non siamo qui per intrattenervi”?
“L’idea di base è che il nostro festival non è un atto di consumo culturale, come in tanti altri festival alla moda pieni di sponsor di istituti di credito. È un abbraccio nei confronti di un collettivo in lotta da tre anni; è un atto di resistenza umana; è una festa; è politica. È un festival dentro la lotta di classe. E infatti ha fatto storcere il naso alla proprietà. Non avete idea di quanto puzzo di classismo abbiamo sentito contro l’idea che gli operai abbiano diritto ai libri e alla cultura, e non solo alla fatica e al sudore”.
La vertenza GKN sta assumendo sempre di più un valore simbolico, oltre che politico. Il fatto che decine di lavoratori e lavoratrici della cultura si riuniscano intorno alla vertenza di una fabbrica mi sembra il sintomo che anche in Italia si sta mettendo a sistema una rete di persone che fanno emergere la propria dimensione working class con più forza rispetto al passato. Con quale spirito e quali prospettive ti sembra che gli ospiti abbiano accolto l’invito a partecipare al festival?
“Credo sia stato chiaro a tutte e tutti che si trattava di ricominciare a usare la parola classe, intrecciandola con altre forme di oppressione. Dagli anni Ottanta si è avviato un processo di atomizzazione e distruzione di ogni forma di soggetto collettivo, nel nome dell’individualismo neoliberista che disintermediava le persone, rendendole prive di politica, di forza, di resistenza: clienti, neanche cittadini. La mobilitazione del collettivo di fabbrica GKN segna il ritorno della forza collettiva e il festival ne è solo uno dei tanti sintomi. È molto forte, perché si dispiega sul campo culturale, dove in molti pensano che gli operai siano più sguarniti. E invece…”.
Il festival di letteratura working class è certamente un momento dedicato alla cultura, ma non bisogna dimenticare i presupposti che hanno portato a questa e alle altre iniziative che sono nate a partire dalla vertenza GKN: i licenziamenti, i tentativi di speculazione edilizia, l’assenza di volontà politica nel riqualificare la fabbrica, nonostante le proposte e i progetti esistono e sono concreti. Sei d’accordo con me se dico che ora più di prima, proprio in virtù del successo di iniziative come questa, gli sforzi dei partecipanti, visitatori e relatori, devono essere rivolti a portare l’attenzione sulle questioni politiche che precedono questa manifestazione culturale?
“E che sia stato un enorme atto di ripresa di parola e di forza collettiva. Al festival dell’anno scorso, a un certo punto, un migliaio di persone si è alzato in piedi a cantare la canzone degli operai GKN, e tutto questo non è successo grazie alle vedette, alle star della cultura, più o meno progressiste: è successo grazie alla convergenza culturale di alcuni lavoratori e lavoratrici dell’industria del libro e di un gruppo di metalmeccanici. Nessuno del pubblico era lì per essere intrattenuto: erano solidali che stavano rivendicando il diritto al pane e alle rose. E questo non è intrattenimento, è lotta di classe”.