Musica

Naomi Berrill e il suo nuovo lavoro “Inish”

By Redazione Lungarno

October 12, 2023

di Eleonora Chiarugi

 

Naomi Berriil violoncellista, polistrumentista, compositrice, autrice e cantante irlandese, aprirà la settima edizione di “A Jazz Supreme”, venerdì 13 ottobre alle ore 21.15 presso la Sala Vanni, con la prima assoluta di “Inish”, il suo nuovo album, in collaborazione con il chitarrista, vocalist e producer Lorenzo Pellegrini e con il batterista, percussionista e violoncellista Andrea Beninati. Attraverso l’intervista a Naomi abbiamo scoperto il significato di Inish, della sua musica, ma anche di cosa vuol dire vivere in una comunità fatta di persone, come quella che racconta nel suo nuovo album, sia che abitino su delle piccole isole, sia che si trovino in zona Isolotto a Firenze. Ecco l’intervista.

Ciao Naomi, è davvero un piacere intervistarti e scoprire di più sul tuo lavoro. Innanzitutto complimenti per il tuo nuovo album Inish in collaborazione con Lorenzo Pellegrini e Andrea Beninati. E a tale proposito ti chiedo subito se il titolo Inish ha un significato particolare?

Sì, Inish è una parola in gaelico che vuol dire ‘Isola‘ ma anche ‘Raccontami‘.

Leggendo come sono nati i brani che parlano della vita di Inishark e Inishbofin, due isole situate davanti alla costa ovest dell’Irlanda, mi viene subito da immaginare i paesini di pescatori delle coste irlandesi e scozzesi, alla marea, alla nebbia, alle lanterne fuori le abitazioni, alle alghe e alle leggende di sirene e pirati. I suoni variano molto all’interno dei brani, in particolar modo in Sea Warrior e grazie all’utilizzo del violoncello e alla tua voce anche nelle parti parlate, assumono una veste quasi epica contemporanea, una narrazione dal tocco folk.

Dov’è stato registrato l’album e in quanto tempo? E soprattutto da quali esigenze nasce?

Dopo i vari lockdown dove siamo stati tutti un po’ più isolati del solito c’era una canzone che mi girava in testa, si chiama “No man is an island” e racconta di quanto siamo importanti l’uno per l’altro, quanto è importante la vicinanza emotiva sia tra amici, che familiari, ma anche come comunità.

Each man’s joy is joy to me, each mans grief is my own“, quando torno in Irlanda vado spesso sull’isola di Inishbofin per suonare musica folk con amici e famiglia. Nell’estate del 2021 un caro amico dell’isola mi raccontava quanto fosse forte la relazione tra le persone che vivevano lì; c’era un qualcosa di speciale che li univa. Il mare che li divide con la terraferma è indomito e imprevedibile, non sempre riescono a prendere il traghetto e questo fa sì che siano una comunità molto affiatata, si aiutano e supportano a vicenda. Condividere significa sopravvivere. Alla fine penso che questi isolani vivono una vita più densa, più ricca, vivono con maggiore intensità i momenti migliori e quelli più duri. Tutto questo mi ha spinto a raccontare queste storie attraverso la mia musica, la forza e la bellezza di questa comunità e di questa umanità. Che poi è una metafora che si applica bene a tutti noi, alle nostre comunità, i nostri clan, la nostra gente.

Nell’autunno del 2021 ho condiviso queste idee embrionali con Lorenzo e abbiamo immaginato insieme come svilupparli e finalmente nella primavera successiva li abbiamo registrati grazie a Stefano Amerio ad Udine. Una volta definito il materiale, Lorenzo ci ha lavorato aggiungendo il suo estro creativo nel ricomporre e rimodellare la musica. Successivamente abbiamo incontrato ed incluso i suoni di Andrea Beninati.

Nascono prima i testi e la musica o insieme in un lavoro di questo tipo?

Bella domanda! Dipende dal brano e dalla circostanza, ma per me arriva prima la melodia e l’armonia, poi costruisco il testo.

Come convivono le tue sonorità e il tuo immaginario con la vita a Firenze?

Firenze è una città in cui la bellezza si trova in tutte le forme ed in ogni angolo, con cifre stilistiche diverse. Ora vivo all’Isolotto che è un quartiere denso di vita e di vitalità, siamo una comunità unità di persone, famiglie e storie da raccontare. Vicino a noi scorre l’Arno che ci divide dalle Cascine. Vivo in città ma circondata da alberi, uccelli (anche il gufo). Mi sembra di stare in mezzo alla natura, è speciale. Tutto questo per me è fonte infinita di ispirazione.

Il violoncello nei brani non è solo strumento ma è come se fosse il prolungamento della voce. Com’è nata la passione per questo strumento e come si è evoluto l’utilizzo di esso nel corso dei tuoi lavori?

Dicono che il violoncello sia uno dei strumenti più vicino alla voce umana e questo mi sembra già un motivo valido per giustificare l’abbinamento. Quando suono il mio strumento vedo ancora mondi inesplorati, sento di poter sviluppare ancora molta ricerca, mi diverto ancora a trovare nuove combinazioni di intreccio e dialogo con la mia voce. Lo suono da quando ho 7 anni e ricordo le prime lezioni in cui portavo dei brani con il ‘pizzicato’ per far capire all’insegnante che avevo imparato la melodia.

Come ti senti per venerdì per il live in Sala Vanni per questa nuova rassegna?

Sono molto fiera di questo nuovo sound, della nuova musica e di questo nuovo trio. Ho di fianco a me due persone e due musicisti strepitosi ed in grado di fare mille cose musicalmente e tutte bene. Dicono che solo le donne siano multitasking, ma non è questo il caso.

Organizzi anche diversi festival e manifestazioni musicali. Ci puoi raccontare qualcosa a riguardo?

Quest’anno abbiamo avuto l’ultima (e 14ª) edizione di High Notes Festival, una piccola rassegna in mezzo alle splendide Alpi Apuane, che si è svolta in un rifugio (L’Orto di Donna) in cui i partecipanti dovevano fare trekking per raggiungerlo; è stata un’esperienza di musica e natura molto piacevole. Ora ci prendiamo un po’ di pausa e torneremo sicuramente a portare musica in qualche nuova location, forse su qualche isola.

Come nostra tradizione chiediamo spesso nelle interviste ai musicisti e cantautori di raccontarci un episodio a piacere della vostra carriera o sul nuovo album…

Uno dei momenti più emozionanti è stato quando due isolani di Inishsark ci hanno portato, su un piccolo curragh [barca tradizionale dei pescatori n.d.r.], sull’isola di Inishbofin, un posto disabitato da oltre sessant’anni e oramai riconquistato dalla natura. Si sentiva ancora l’anima dei suoi abitanti e la musica che suonavano.

 

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