I più sgamati sapranno invece che è una data che varia in relazione alla prima Luna piena di Primavera, momento astronomico che determina la data di Pasqua e collega il credente alle forze cosmiche (quasi pagane) alle quali si piega la celebrazione più importante del calendario cattolico.
Quello che in tempi precristiani era un fisiologico abbandono dei prodotti più calorici di cui ci si nutriva nel periodo più freddo per avvicinarsi alle lussureggianti verdure della primavera, diventò una preparazione che, nel rito cristiano, ha preso il volto di un allontanamento di 40 giorni del credente dal piacere (a.k.a. peccato) che era necessario per purificare il suo cuore e rinnovare la sua vita, perché 40 erano gli anni che gli ebrei passarono in esilio, 40 i giorni in cui Cristo vagò nel deserto, 40 giorni durò il diluvio universale, 40 colpi prevedeva la legge della flagellazione, e così via.
Tale penitenza si traduceva sul piano alimentare in una sorta di 40 days vegan challenge. E chi se non delle donne – il genere più subissato nella storia dal peccato – avrebbero potuto ingegnare una via d’uscita da cotanta sofferenza? Si narra infatti che per cercare vie consone che permettessero di consumare dolci, in un convento tra Prato e Firenze nel XIX secolo, alcune suore inventarono dei biscotti senza né latte né burro ma dalla forma delle lettere dei versi del Vangelo, così che, abbuffandosi di questi biscotti al cioccolato, potessero al tempo stesso lodare sia il verbo che la tanto biasimata gola.