L’ondata di popolarità raggiunta dalla Corea del Sud non accenna a volersi placare. Netflix con la serie tv “Squid Game” ha portato l’interesse per l’intrattenimento coreano a un livello ancora più alto e ha coinvolto fasce di pubblico che erano rimaste marginali alla new wave cinematografica.
Proprio in questo nuovo anno di successi e riconoscimenti si celebra il ventennale del Florence Korea Film Fest, che si terrà a Firenze al Cinema La Compagnia dal 7 al 15 aprile. Per indagare il fenomeno dell’interesse sempre crescente verso la Corea del Sud abbiamo fatto qualche domanda a Chan Eun Young, in Italia dal 1999 e vicedirettrice del Festival, al fianco di Riccardo Gelli, dal primo anno.
Quale è stato il contatto che ha fatto sì che a Firenze si vedessero i primi film coreani 20 anni fa?
“Non c’era sicuramente tutto questo interesse verso il nostro cinema, anche se negli Stati Uniti si iniziava a fare qualcosa presso il Centro di Cultura Coreano. A creare concretamente un ponte con l’Italia è stato il Korean Film Council”.
Come è stata la risposta del pubblico fiorentino?
“Come dicevo non c’era ancora questo interesse, ma io e Riccardo Gelli ci credevamo molto, tanto da accompagnare letteralmente gli spettatori al loro posto in sala. La reazione era immediata. Erano sorpresi dal modo di fare cinema di questi autori. La parola che ricorreva era “scoperta”. Chi vedeva questi film voleva sapere di più, anche perché, se in qualche caso si conosceva il cinema cinese o quello giapponese, quello coreano era un’autentica novità. Anche da un punto di vista culturale si iniziava a capire che noi, pur provenendo tutti dall’Asia, avevamo stili e referenze diverse”.
Quale è stato il primo ospite davvero importante che è intervenuto al Festival?
“Sicuramente il regista Kim Jee-woon. Facemmo una retrospettiva dei suoi primi film come “A Tale of Two Sisters” e “A Bittersweet Life”. Ricordo che quando lo andai a prendere alla stazione era a pezzi per il lungo viaggio e il suo umore era pessimo, ma quando è ripartito lo stato d’animo era completamente diverso. Era stato davvero felice di aver incontrato il pubblico italiano che aveva amato il suo lavoro. È tornato molte volte e quando siamo in Corea non manchiamo di salutarlo. Una volta che eravamo nel suo ufficio a Seul ci ha confidato di non aver dimenticato il gusto dell’olio d’oliva assaggiato qua. Per tutti gli ospiti ci sono aneddoti divertenti, come quando abbiamo portato il regista premio Oscar per “Parasite” Bong Joon-ho ad assaggiare il panino con il lampredotto. Per molti oltretutto è stata la prima volta a Firenze”.
Cosa pensi del fascino che oggigiorno la Corea esercita sul resto del mondo?
“Da coreana posso dire che siamo davvero particolari, non c’è un altro popolo come noi (ride). La dedizione, sicuramente eccessiva, verso il lavoro fa sì che ci impegniamo fino in fondo in ciò che facciamo. Impariamo velocemente e sappiamo adattarci. Prima di Internet eravamo tagliati fuori, ma diversi giovani che partivano per lavorare all’estero dimostravano le loro capacità. Tutto poi si è sviluppato a una velocità incredibile con la tecnologia. La prima vera svolta però è stata dopo le Olimpiadi di Seul nel 1988. Io frequentavo il primo anno di Università ed era talmente raro che un giovane si spostasse dalla Corea che ci venivano fatti dei corsi sull’ “etichetta” che dovevamo seguire all’estero”.
Corea del Sud e l’Italia si assomigliano così tanto?
“Ci sono diverse cose che ci accomunano: il fatto di essere penisole e il clima simile. Abbiamo entrambi un forte legame con le nostre famiglie. Le madri italiane e quelle coreane non sono tanto diverse”.
L’ospite d’onore quest’anno è Lee Jung-Jae, protagonista di “Squid Game” e amatissimo in patria.
“Lui ha esordito con un drama che si intitola “Sandglass”. Era il 1995 e il pubblico subito se ne innamorò. Non c’era Netflix o cose simili, e quando trasmettevano un nuovo episodio alla tv le strade si svuotavano: erano tutti incollati allo schermo!”.