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51 anni di “Vestirsi di sedie” di Gianni Pettena

vestirsi di sedie

di Asia Neri

Giulietta è il titolo della rassegna curata da Stefano Giuri all’interno del Public Program 2022 di NAM – Not a Museum, il progetto di Manifattura Tabacchi dedicato all’interdisciplinarietà e alla sperimentazione dei linguaggi dell’arte contemporanea. Giovedì 10 marzo, alle 18:30, si è tenuto il secondo appuntamento con la performance Vestirsi di sedie, di Gianni Pettena.

L’ARTISTA, O MEGLIO L’ANARCHITETTO

Gianni Pettena appartiene al nucleo fondatore dell’architettura radicale italiana, un movimento nato negli anni ’60 a Firenze dai gruppi avanguardisti di Superstudio, Archizoom, UFO. Nato nel 1940 a Bolzano, l’”Anarchitetto” studia architettura all’Università di Firenze e ne frequenta gli ambienti artistici trasversali che, nei primi anni Sessanta, si trovavano in pieno fermento culturale. Fin dagli albori del suo percorso professionale, Gianni Pettena persegue la scelta operativa dello “sconfinamento”, dedicandosi al dialogo tra pratica architettonica, ambiente, contesto e discipline artistiche.

LA PERFORMANCE ALLA SUA IV EDIZIONE

Agli albori degli anni Settanta, l’artista si sposta negli Stati Uniti e proprio durante il suo ‘periodo americano’ mette in scena per la prima volta Wearable chairs (1971) a Minneapolis, Minnesota.

Dopo le successive rievocazioni al NABA di Milano (2011) e al Centre Pompidou di Parigi (2016), Gianni Pettena porta la IV edizione dell’intervento artistico a Firenze. Come per il primo evento al Minneapolis College of Art and Design, l’happening itinerante è stato interpretato da un gruppo di studenti: la sedia, dismessa dal suo uso comune, viene indossata dai corpi autosufficienti dei performer e trasportata da piazza dell’Orologio nelle strade della città. Nella sua disarticolazione, l’oggetto perde l’abitudinarietà della tradizionale fruizione per interpretare una condizione alternativa, pretestuosa; Vestirsi di sedie introduce l’interrogativo sulla vita e sulla morte dell’oggetto, sull’azione contestualmente evocata e sulla necessità di romperne il razionalismo. Le generazioni che ingaggiano questi stessi presupposti scelgono il movimento; si caricano di un peso, supplementare a quello del proprio corpo; rifiutano di sedersi e di trovare riposo; scelgono di non arrendersi alla stanchezza; mettono in discussione l’estremo funzionalismo che lega oggetto, uso e società.

Collateralmente alla performance, Gianni Pettena è stato ospitato nella sala Feste di Manifattura Tabacchi per il talk condotto da Stefano Giuri. Durante l’incontro, ha raccontato le radici concettuali del suo lavoro con alcuni cenni storici e biografici.

L’INTERVISTA A GIANNI PETTENA

Abbiamo avuto la possibilità di parlare direttamente con l’artista per approfondire il significato dell’intervento che, contestualmente, stava proseguendo nei dintorni urbani di Firenze.

In diverse occasioni, ha manifestato un’esigenza di espressione: descrivere con il suo lavoro “il nostro tempo”. Le contingenze però cambiano e si trasformano, cosa ritiene più urgente raccontare oggi? Che significato assume Vestirsi di sedie a distanza di 51 anni dalle prime premesse?

Le esigenze sono le stesse. La mia generazione percepiva una mancanza di stimoli, un divario generazionale per il quale professori, giornalisti, scrittori raccontavano qualcosa che non ci apparteneva: il trauma della guerra, la paura, la sofferenza, le loro memorie. Noi guardavamo avanti, desideravamo tutto. E oggi la necessità continua a essere questa! Disubbidire alla vecchia generazione, raccontare il presente al di là delle indicazioni legittime, dell’educazione ricevuta che spesso rimane imbalsamata nella razionalità. Questa performance racconta qualcosa che è ancora attuale: la sedia nella disarticolazione diventa un oggetto derelitto, privo di funzione e, proprio questa ambiguità racchiude il senso della performance. È ancora necessario porsi dubbi, domande, interrogarsi su ciò che facciamo e, soprattutto, su come lo facciamo. O su cosa ci sediamo.

Viviamo nell’epoca dell’istantaneità. Com’è possibile decodificare “in diretta” il presente momento storico se si muove più veloce del nostro stesso pensiero? E come può il nostro pensiero trovare significato e ampia diffusione su canali mediatici completamente saturi?

Raccontate il vostro traffico mentale ed emozionale, è un dovere e un diritto! Oggi avete molti più canali di quanti non ne esistessero all’epoca, è importante sfruttarli. Voglio riportare questo aneddoto. Un pomeriggio stavo studiando a casa mia con un amico, al tempo abitavo in piazza Donatello. Quello stesso giorno scoprimmo che sarebbe passato il Giro d’Italia davanti al mio portone. Preparammo allora dei cartelli contro la guerra degli Stati Uniti in Vietnam e con altre contestazioni che in quel momento storico erano per noi molto importanti e, appena pronti, scendemmo sotto casa in attesa dei ciclisti e delle televisioni. Purtroppo la polizia ci fermò poco prima del loro arrivo, proibendoci di mostrare i cartelli e tentando di sequestrarceli: il punto è che non potevano farlo! Le frasi non riportavano alcun tipo di offesa, erano solo manifestazioni del nostro pensiero. Questo non valse a distoglierli dal tentativo e ci accompagnarono comunque in caserma. Non successe niente, tant’è che poco dopo ci rilasciarono ma quell’atto racchiudeva qualcosa di fondamentale. Volevamo esprimerci, raccontare ciò che ci apparteneva e questo è possibile farlo oggi come allora. È necessario farlo!

foto in Manifattura Tabacchi: Asia Neri

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