Site icon Lungarno

CITIZEN OF SEALAND

Foto: Unsplash

Sealand è uno Stato. Un pezzo di cemento a largo della costa est britannica. Per il mondo intero non esiste: nessuna ambasciata, nessun riconoscimento. Una piattaforma rettangolare residuo della Seconda Guerra Mondiale dove nel 1966 un signore, tale Paddy Roy Bates, sbarcò. 

Bandiera, inno, cittadinanze, passaporti. Qualcosa che viveva, perché l’uomo lo voleva fare, come ha fatto in molte altre parti del mondo. Sono nato in Italia, a Firenze, e sono diventato cittadino di Sealand

L’iter non è stato complicato, ma nemmeno molto semplice: foto, certificazioni, attese e alla fine il documento, non riconosciuto praticamente da nessuno, arriva a casa.  Perché? Tralasciando la questione politica (motore delle tante richieste inglesi dopo la Brexit) e quella feticistica (collezione di gagliardetti e monete) la risposta è prettamente fine al motto del Principato di Sealand, ovvero “E mare, libertas”

La libertà dell’essere umano di poter creare uno Stato senza avere necessariamente l’esigenza di essere riconosciuto. Poter fare un micro Paese, un mondo proprio, con lo stesso approccio in cui i pionieri di radio e TV libere trasmettevano illegalmente anni fa. Il Principato di Sealand, peraltro, non è una pura utopia visto che nella sua storia ha vissuto un colpo di Stato con tanto di prigionieri politici e ha avuto anche rapporti diplomatici: in sostanza è qualcosa che esiste, che è visitabile, che è descritto.

Se i confini politici li ha creati l’uomo, l’uomo può anche costruire qualcosa e renderlo Stato di diritto. In un rettangolo di cemento? Perché no. Non c’è violenza, non c’è sopraffazione, c’è solo forse la provocazione, l’idea. C’è solo la domanda “Perché no?”, la stessa domanda che nel 1908 donò il nome alla nave francese “Pourquoi-Pas”, la cui missione da molti considerata impossibile era mappare le coste del Polo Sud.

Io sono cittadino di Sealand e mi sento rappresentato da questa idea e da questa storia. E pensare che la sua bandiera sventoli sul Monte Everest, insomma, mi conferisce gioia.

“E mare, libertas”.

Exit mobile version