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Scrivere di cinema: tenebre splendenti

È un universo mutevole quello del cinema, in continua evoluzione, ma anche soggetto a infinite riletture e interpretazioni. Forse mai come in questo momento, con le sale chiuse, si è presentata l’opportunità, per chi scrive di cinema, di approfondire, studiare e trovare nuove chiavi di lettura nell’opera dei grandi maestri. 

È quello che ha fatto Marco Luceri che ha usato il tempo sospeso del lockdown per un’esaustiva analisi della cinematografia di quello che forse è l’autore, vivente, più controverso del nostro tempo: Roman Polanski

Una parola che si incontra spesso nel libro come indicatore dell’impressione del cinema di R. P. sullo spettatore è “perturbante”.

“Freud definisce il termine con la trasformazione del quotidiano in qualcosa di eccezionale, oscuro e misterioso. L’orrore nel cinema di R. P. non è nei film di genere, bensì in opere come Il pianista che si impegnano a mostrare cose che l’occhio fa fatica a sopportare. Il cinema di Polański scuote anche quando sembra non farlo. Ha fatto un grosso lavoro sui generi dando a ogni pellicola quel tocco originale che mostra una realtà collassata. Esemplificativi di questo sono Chinatown, La nona porta e Frantic in cui vediamo protagonisti che si perdono nel mistero del mondo che abitano. Lo spettatore si identifica in questi personaggi, sostanzialmente positivi, di fronte a una realtà che si presenta incomprensibile. Molti dei finali dei suoi film sono un ritorno all’inizio, una forma di circolarità che lascia il dubbio se quello che si è visto sia accaduto per davvero o se sia una fantasia. Il cinema di Polanski è un percorso di conoscenza”. 

I personaggi di questi film si scontrano con un erotismo che li sconvolge (spesso incarnato da Emmanuelle Seigner musa e compagna di vita).

“Sono uomini che, messi di fronte a un bivio, rappresentano due opposte pulsioni: da una parte la stabilità (il matrimonio, la casa) e dall’altra l’instabilità che può voler dire anche possedere una donna come quelle incarnate da Seigner. Entrambe queste strade hanno risvolti negativi che però lusingano. R. P. ci mostra quanto siano pericolose, ma anche quanto siano indispensabili per l’identità del personaggio”.

Nel libro si parla molto dello spazio domestico portando a esempio opere come Rosemary’s Baby e Carnage.

“Ritorna il concetto di perturbante: in Rosemary’s questo è rappresentato dalle porte della casa che si affacciano verso l’ignoto, verso l’incubo. In Carnage l’elemento detonatore è la parola all’interno di uno spazio chiuso. È una crisi del linguaggio che porta a galla l’assurdo dei personaggi. Se si esce dallo spazio dell’appartamento la parola perde la sua sostanza”.

Ogni volta che esce un nuovo film di P. si torna a parlare delle accuse di violenza sessuale legate al suo nome, tu hai scelto di fare il punto nelle conclusioni.

“Lui, come altri, è il simbolo di un potere maschile all’interno del cinema che, come all’interno della società, va messo in discussione. Il modo peggiore per farlo però è dividersi in fazioni che finiscono per diventare opposte ma uguali. Fare questo non serve a nulla come anche la “cancel culture” che rischia di ridurre la questione a mera censura. Nell’ultimo film L’ufficiale e la spia lo stesso R. P. fa sua la lezione di Hannah Arendt e cioè che bisogna guardare la storia con un occhio più grande, che non si fermi al singolo fenomeno”. 

Il volume “Tenebre splendenti – Sul cinema di Roman Polanski” di Marco Luceri uscirà a breve per Edizioni ETS.

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