Aprendo un qualunque dizionario, alla voce “moccolo” si leggono spiegazioni che rimandano dal muco nasale fino ad arrivare alle colature delle candele (votive e non). Questo è il significato che nel nostro paese viene attributo a questa parola. A Firenze, ovviamente, no. Tralasciando il fatto che per i cittadini del capoluogo (e non solo) il sostantivo può anche essere coniugato (leggasi “moccolare” o meglio ancora “Smoccolare”), il senso del termine è totalmente altro.
Il moccolo è meramente un’espressione che si usa in funzione di sfogo rabbioso e si compone di due importanti elementi: il soggetto, riferito a un’immagine sacra, e l’aggettivo, generalmente riferito ad un appartenente alla classe animale o a un’immagine considerata socialmente offensiva (tipo meretrice, o scavatore di buche nel nostro fiume). Intendiamoci, i fiorentini non ne abusano, almeno al giorno d’oggi. Non siamo in Veneto, dove la stessa idea è usata come intercalare, in maniera un po’ ossessiva. Cerchiamo in qualche modo di girare intorno coi termini, costruendo talvolta delle frasi strutturate che rendono l’espressione quasi affascinante, o meglio ancora usando espressioni geografiche (leggasi “maremma”) o di nomi propri (“Marianna”) per non citare in questione la sacralità del soggetto sul quale sfogare la rabbia immediata.
Il moccolo può essere lungo, articolato, una vera e propria strofa. Può essere una frase di senso compiuto, con importanti componenti verbali. Detto questo, non vogliamo parlare bene del “moccolo”, ma ne parliamo come parte integrante di questa città. Variopinto, estroso, spesso più creativo che offensivo. In sostanza, fiorentino.