di Daniele Pasquini
Ogni città italiana nel tempo ha dedicato le vie migliori ai più celebri numi tutelari dell’unità nazionale. I salotti buoni di ogni centro e i grandi viali sono sempre intitolati ai Garibaldi e ai Mazzini. La retorica delle targhe dona lustro. Ma, va detto, è troppo facile celebrare sempre i soliti noti. Per capirsi meglio: chi oggigiorno giocherebbe a calcetto con la maglietta di Messi o Ronaldo? E quanti, invece, non si sentirebbero più ganzi a mostrare agli amici la t-shirt di Domenico Morfeo, di Marco Sgrò o di qualche eroe minore privato della ribalta dalle solite stelle accecanti e insensibili?
Dovremmo pensarci più spesso, soprattutto passando da via Eugenio Barsanti e via Felice Matteucci, in zona Pignone. Abbastanza noti da dare il nome a due strade, ma non abbastanza da suscitare orgoglio tra i passanti. Rispettabili uomini d’inizio Ottocento: il Matteucci ingegnere idraulico, il Barsanti sacerdote (nato Nicolò, prese coi voti il nome Eugenio).
A questo singolare sodalizio dobbiamo l’invenzione del primo motore a combustione interna. L’idea oggi può apparire superata, ma provateci voi a intuire che l’espansione di un gas avrebbe potuto sollevato un pistone e mettere in moto il mondo.
Brevettarono la loro idea, la esposero, ottennero successo. Depositarono brevetti nei regni della penisola, poi in Inghilterra e infine in Belgio. Là purtroppo Barsanti si ammalò di tifo, e morì nel 1864. Matteucci da solo non riuscì a fare fronte alla gestione aziendale e alla tutela dei progetti. La commercializzazione del motore fallì. E per l’ingegnere, oltre al danno, arrivò pure la beffa: dieci anni dopo la scoperta del motore a scoppio sarà attribuita al tedesco Nikolaus August Otto, nonostante i brevetti depositati dal duo italiano.
Ma vale quanto già detto. Stando in metafora: ai celebratissimi bomber da Champions, noi preferiremo sempre i fantasisti di provincia.